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Saturday, December 31, 2022

L'anno nero delle Borse: -12% in Europa nel 2022, al peggio Wall Street dal 2008 - Corriere della Sera

All’ultima seduta dell’anno, il 2022 si attesta ufficialmente un anno da dimenticare per i mercati. A partire da Wall Street, che si avvicina a concludere l’anno peggiore dalla crisi finanziaria del 2008, scivolando del 19% nello S&P 500 e del 33% nel Nasdaq. Non è andata meglio a Piazza Affari, dove, stando ai dati di Borsa Italiana aggiornati al 29 dicembre, il Ftse Mib ha registrato una flessione del 12% rispetto alla fine del 2021 e la sua peggiore performance annuale dal 2018 (l’indice era sceso del 16,1%). In rosso anche le altre Borse europee, nell’ultima seduta così come nel resto dell’anno, il più nero degli ultimi 10 anni: l’indice Stoxx 600 perde in 12 mesi oltre il 12%. Con un calo di oltre il 20% nel 2022, l’indice Msci All-World (indice che segue i titoli azionari di 23 paesi sviluppati e 24 mercati di paesi emergenti) vede spazzar via qualcosa come 18 mila miliardi di capitalizzazione.

L’anno di Piazza Affari

Tornando a Milano, il Ftse All-Share (che, come si evince dal nome, è costituito da tutti gli elementi degli indici Ftse Mib, Ftse Italia Mid Cap e tse Italia Small Cap) nel 2022 ha registrato un calo del 12,9%. Ancora peggio per il segmento Star (il quale comprende spa di medie dimensioni), che ha perso il 27,7%, e per il Ftse Italia Growth (composto da piccole e medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita), che segna un -19,3% rispetto alla chiusura del 2021. La capitalizzazione complessiva del 2022 raccolta dalle società quotate a Piazza Affari si attesta a 626 miliardi di euro (pari al 33,9% del Pil italiano), dato aggiornato al 23 dicembre, in netta discesa rispetto ai 757 miliardi a chiusura dello scorso anno (che erano pari al 43,1% del Pil). Alla fine dell’anno, si contano sui mercati di Borsa Italiana 414 società quotate contro le 407 dell’anno scorso, risultato di 29 nuovi ingressi (Ipo) e 22 delisting. Il totale raccolto dalle Ipo si attesta a 1.450 milioni di euro, oltre a nove operazioni di aumento di capitale in opzione con un controvalore di 4.755 milioni. Le Opa sono state 19, per un controvalore di circa 2.940 milioni. Gli scambi di azioni, sostanzialmente stabili, hanno raggiunto una media giornaliera di 2,2 miliardi di euro e una media di oltre 303 mila contratti per un totale di oltre 76 milioni di contratti scambiati e un controvalore di 562 miliardi. Intesa Sanpaolo è stata l’azione più scambiata per controvalore, con un totale di 62 miliardi, e Unicredit la più scambiata in termini di contratti con più di 5,5 milioni di contratti.

L’ultima seduta del 2022

A piegare i listini anche in questa ultima seduta del 2022 sono la stretta dell’inflazione e il Covid, che torna a far preoccupare con una nuova e pesante ondata di contagi in Cina. Francoforte chiude a -1,05%, Parigi a -1,5%, mentre Londra, in seduta breve per festività, ha ceduto lo 0,81%. A Milano (Ftse Mib -1,45% e sotto i 24 mila punti). Tra i titoli soltanto Amplifon (-0,21%) e Unicredit (-0,33%) sono riuscite a limitare i danni, con Tim (-3,78%) in cima alla lista dei ribassi dopo lo stallo delle trattative sulla rete. Seguono Interpump (-2,63%), gli energetici Terna (-2,6%), Snam (-2,41%) ed Erg (-2,36%), oltre a Recordati (-2,32%) ed Eni (-2,25% con forti scambi). Non si allenta la tensione sui titoli di Stato con lo spread tra Btp e Bund a 211 punti (a questo link l’andamento in tempo reale) e il rendimento del decennale italiano al 4,62% (+13%). Salgono anche i tassi di Francia (+9), Germania (+8), Spagna (+9,5). Per le materie prime il gas aggiorna i minimi a 75 euro al megawattora. Per il petrolio, il Wti resta stabile a 78 dollari al barile e il Brent poco sopra gli 83 dollari al barile. Sul fronte cambi l’euro si apprezza leggermente sul dollaro con cui scambia 1,0674.

Wall Street: anno peggiore dal 2008

Anno particolarmente difficile anche per i mercati americani, fra la lotta all’inflazione della Fed e la guerra in Ucraina. I future sui listini sono in calo anche l’ultimo giorno di contrattazioni, con il Nasdaq che perde circa l’1%. Ma non è escluso che la settimana possa chiudersi in positivo, mantenendo il trend consecutivo degli ultimi due mesi. Un andamento che, però, non ha evitato agli indici di registrare il 2022 come il primo anno negativo dopo tre consecutivi in rialzo, ma anche il peggiore dopo il 2008, anno condizionato dalla crisi finanziaria provocata dai mutui subprime. Il Dow Jones, con un calo dell’8,58%, si attesta l’andamento migliore. Seguono S&P 500 e Nasdaq, che registrano perdite rispettivamente del 19,24% e del 33,03%. L’anno è stato caratterizzato da un mercato ribassista volatile, da un’inflazione che ha raggiunto livelli massimi mai visti negli ultimi 40 anni e da un aggressivo rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve: tre fattori hanno gravato soprattutto sui titoli tecnologici e in generale su quelli della categoria “growth”, dove le valutazioni di Borsa incorporano le aspettative di una forte crescita dei fondamentali negli anni a venire. In questo momento, i future sul Dow Jones perdono 131 punti (-0,39%), quelli sullo S&P 500 cedono 22,75 punti (-0,59%), quelli sul Nasdaq sono in calo di 101,50 punti (-0,92%). Il petrolio Wti al Nymex perde lo 0,32% a 78,15 dollari al barile e si avvia a chiudere in leggero rialzo un anno in cui ha superato i 130 dollari, toccando i massimi dal 2008.

Le borse asiatiche

Per quanto riguarda le Borse di Asia e Pacifico, l’anno si chiude senza grandi sussulti e future sull’Europa e gli Stati Uniti in negativo nell’ultima seduta di un anno che i mercati finanziari archiviano come il peggiore dell’ultimo decennio. Il Nikkei a Tokyo chiude invariato. Tengono le Piazze cinesi che viaggiano in rialzo con Hong Kong che a scambi in corso sale dello 0,61%. Chiusura positiva anche per Shanghai (+0,51%) e Shenzhen (+0,37%) così come per Sydney (+0,27%) mentre Seul ha anticipato al 29 dicembre l’ultimo giorno di contrattazioni. Pochi i dati macro in calendario, tra questi l’inflazione della Spagna mentre le altre principali economie diffonderanno i dati di dicembre nella prima settimana di gennaio. Dagli Stati Uniti atteso l’indice dei direttori agli acquisti di Chicago.

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Apple, Alphabet, Meta, Microsoft e Amazon: 3 mila miliardi bruciati nel 2022 - Corriere della Sera

Il 2022 si chiude con un bilancio negativo per le grandi aziende tech in generale. Dopo aver vissuto un periodo d’oro fino al 2021, nel decennio che ha visto crescere i loro ricavi e profitti a un tasso cinque volte superiore al Pil americano, coronato dal balzo anche durante la pandemia, le big tech hanno accusato una dura contrazione, successivamente accompagnata da uno stop alle assunzioni e seguita da ondate massicce di licenziamenti.

Secondo i calcoli dell’Economist, i cinque giganti della tecnologia Apple, Alphabet, Meta, Microsoft e Amazon, hanno perso circa tre mila miliardi di dollari di valore di mercato. Nel 2019, le principali aziende della Silicon Valley crescevano costantemente con l’aumentare del flusso web causato dalle restrizioni. Non solo i ricavi di molte di queste società tecnologiche sono saliti alle stelle, ma anche il loro numero di dipendenti che, con il crollo dei profitti, si sono poi trasformati in esuberi tradotti in annunci di tagli del personale. Sono più di 150.000 i posti di lavoro tagliati nel 2022 nelle aziende tecnologiche di tutto il mondo (dati di Layoffs.fyi).

Dopo Meta, la holding di Facebook, Instagram e Whatsapp, che aveva annunciato a novembre a livello globale 11 mila esuberi, anche l’amministratore delegato di Amazon, Andy Jassy, aveva annunciato l’avvio della campagna di licenziamenti di 10 mila unità, pari all’1% della forza lavoro totale, circa 1,5 milioni di persone. Licenziamenti potrebbero arrivare anche per Alphabet, la società madre di Google che con il crollo del mercato della pubblicità digitale a ottobre, ha registrato profitti i calo del 27% nel terzo trimestre 2022 rispetto all’anno precedente, a 13,9 miliardi di dollari.

Il Nasdaq, che rappresenta l’indice del listino azionario delle società ad alto contenuto tecnologico, ha perso un terzo del suo valore. Tra le cinque, ad accusare perdite maggiori è Meta che ha bruciato quasi due terzi del suo valore, lasciando la sua capitalizzazione di mercato a poco più di 300 miliardi di dollari.
Diverse sono le cause della fine della crescita del settore. Tra queste il calo della raccolta pubblicitaria. Negli ultimi anni i budget che venivano stanziati per i tradizionali media come tv e giornali, sono stati spostati su piattaforme online. Una migrazione che oggi si può considerare ormai quasi totalmente avvenuta: due terzi della spesa america avviene già sul digitale. A luglio Meta ha registrato il suo primo calo trimestrale dei ricavi seguito da un secondo a ottobre.

Una prossima sfida per le big tech sarà la concorrenza e le autorità garanti del mercato. Nel 2023 diverrà applicabile il Regolamento europeo sui mercati digitali, più noto come Digital Markets Act che si propone di promuovere «mercati equi e contendibili nel settore digitale». La concentrazione dei mercati come quella caratterizzata dal monopolio di Google nella ricerca e di Meta nei social media è destinata a finire, anche per effetto della concorrenza di altre piattaforme. Ne è un esempio il successo di TikTok, che ha “inglobato” parte degli utenti di Meta. E i confini di competenze non sono più così netti: il ramo di cloud computing di Amazon ha subito rallentamenti a causa di Google che sta investendo miliardi nel proprio servizio cloud. A queste cause si aggiungono anche altri eventi “sfavorevoli”, come l’innalzamento dei tassi di interesse della Federal Reserve al 4,5% per contrastare l’inflazione e la reperibilità dei semiconduttori per i quali oggi la domanda è diminuita a causa del calo delle vendite di pc e smartphone.

Secondo quanto riportato da Wired, nel 2022, le azioni di Amazon hanno perso tutto il valore accumulato grazie alla pandemia, scendendo nel corso dell’anno del 49% rispetto al 2021. Ammonta invece al 66% il crollo azionario di Meta anche dovuto dal calo dei profitti . Fa peggio solo Tesla: a dicembre le sue azioni hanno raggiunto il livello più basso dal 2020 (- 69% rispetto allo scorso anno). Cali più contenuti per Microsoft che segna un -26%, probabilmente imputabile al calo delle vendite di videogiochi e software. Mentre Microsoft e Alphabet, attribuiscono buona parte della riduzione dei profitti al rallentamento delle loro attività nel cloud computing.

L’ondata di perdite travolge infatti tutti i maggiori paperoni tech della Silicon Valley che, insieme, hanno visto andare in fumo 433 miliardi di dollari, più del doppio del pil della Grecia (214,87 miliardi nel 2021 secondo i dati della Banca Mondiale). Per Elon Musk il 2022 è stato un annus horribilis, durante il quale ha perso 132 miliardi di dollari con il tonfo di Tesla a Wall Street. Il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha perso 84,1 miliardi con il calo di quasi il 50% dei titoli del colosso delle vendite al dettaglio. Secondo quanto riportato dal Washington Post, la situazione non migliora per Zuckerberg che, criticato da più parti per le sue scommesse sul metaverso, ha accumulato 80,7 miliardi di perdite. Ma gode tuttavia di una fortuna di 44,8 miliardi, che vale più del pil dell’Islanda. Altre perdite sono state registrate anche dai due fondatori di Google: Larry Page e Sergey Brin che hanno visto prendere fuoco nel complesso quasi 88 miliardi (44,8 miliardi Page e 43,4 miliardi Brin) e valgono ora poco più di 80 miliardi ciascuno. Bill Gates invece si è impoverito di 28,7 miliardi e la sua fortuna è pari ora a 109 miliardi.

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Friday, December 30, 2022

Arera: “Bollette della luce in calo del 19,5% nei primi tre mesi del 2023” - Il Fatto Quotidiano

Parziale sollievo per i conti di famiglie e imprese nei prossimi mesi. L’Autorità per l’energia (Arera) ha annunciato che per il primo trimestre del 2023 il prezzo di riferimento dell’energia elettrica per la famiglia tipo in tutela si riduce del 19,5% rispetto al trimestre precedente. La discesa è dovuta al calo delle quotazioni all’ingrosso dei prodotti energetici e agli interventi del governo sulle bollette, si legge nel comunicato che fissa le tariffe energetiche sui mercati tutelati. “Le quotazioni a termine dell’energia elettrica si sono mosse al ribasso”, spiega l’Arera, a causa del “livello degli stoccaggi europei di gas che si attesta a fine anno sopra l’80% della capacità disponibile” e dei “prezzi a termine che indicano condizioni meno tese nel primo trimestre del 2023 rispetto alle aspettative di inizio ottobre 2022 e ai prezzi formatisi nel mese di dicembre”. Il calo è però più contenuto di alcune previsioni. Tre giorni fa Nomisma energia aveva ipotizzato una flessione del 25%. Lo stesso istituto prevede un incremento del 20% per le bollette del gas poiché i cali registrati in questi giorni sui mercati richiedono tempo per trasferirsi ai consumatori finali.

Già nel quarto trimestre 2022, in base ai dati di preconsuntivo, il prezzo unico nazionale dell’elettricità (Pun) è risultato in calo del 48% circa rispetto ai livelli molto elevati del terzo trimestre 2022: 246 euro al megawattora contro 472/MWh in media trimestrale. Anche per il primo trimestre 2023 il governo ha azzerato gli oneri generali di sistema per il settore elettrico a tutti i clienti domestici e ai non domestici con potenza disponibile fino a 16,5 kW, e per il gas alla generalità degli utenti. I cosiddetti “oneri nucleari” a partire dal 2023 saranno sostenuti direttamente dal Bilancio dello Stato e non saranno più presenti in bolletta. È stata inoltre confermata l’applicazione della componente negativa UG2 a vantaggio dei consumi gas fino a 5.000 smc/anno.

Interventi che si affiancano alla conferma della riduzione dell’Iva sul gas al 5%. Come previsto dalla legge di bilancio, anche per il primo trimestre del 2023 sarà ampliata la fascia dei beneficiari ammessi ai bonus sociali. Il livello Isee necessario per usufruirne sale da 12.000 a 15.000 euro, fino a 20.000 euro per le famiglie numerose). La spesa per la bolletta elettrica per la famiglia-tipo nell’anno scorrevole (tra il 1/o aprile 2022 e il 31 marzo 2023) sarà di circa 1.374 euro, +67% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (1/o aprile 2021- 31 marzo 2022).

“La variazione percentuale pur marcata del costo dell’energia elettrica non deve spingere a conclusioni affrettate”, perché “i mercati sono caratterizzati ancora da una marcata volatilità, la stagionalità inciderà sulle variazioni dei prezzi del gas e i valori assoluti rimangono ancora straordinariamente alti”. Lo afferma il presidente di Arera, Stefano Besseghini, commentando i dati. “La situazione sui mercati all’ingrosso certamente ha risentito di particolari condizioni ambientali – spiega Besseghini -, ma anche di una evoluzione e di un rafforzamento della capacità di reazione del sistema al permanere delle tragiche vicende belliche che ancora caratterizzano lo scenario internazionale“.

“Bene, ma non basta! Il calo è certo positivo, ma insufficiente per compensare i rincari record dei trimestri precedenti. Le bollette restano da ricovero. Il governo deve intervenire immediatamente. La riduzione di oggi è dovuta esclusivamente al fortunato buon andamento dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica e al clima mite, non certo alla manovra o al Dl Aiuti quater nei quali ci si è limitati a copiare quanto fatto da Draghi, con l’unica eccezione dell’innalzamento della soglia Isee da 12 a 15 mila euro per i bonus sociali. Urge rinviare la fine del mercato tutelato del gas prevista per i condomini e le associazioni tra appena 3 mesi, il 1/o aprile 2023″. Lo afferma Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione Nazionale Consumatori, commentando le nuove tariffe. L’Unc calcola in 348 euro il risparmio annuo per una famiglia tipo.

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Immobiliare, con i mutui più cari scricchiolii dai mercati di Stati Uniti e Nord Europa - Il Fatto Quotidiano

Nel 1973 i prezzi del petrolio impazzirono a causa delle tensioni geopolitiche in Medioriente che indussero i paesi Opec a tagliare la produzione e i rifornimenti verso l’Occidente. La conseguenza fu un’ inflazione spinta in pochi mesi dal 2 al 14%. La conseguenza della conseguenza fu la reazione delle banche centrali per cercare di arginare i prezzi. I tassi statunitensi salirono dal 4 al 13% in pochi mesi. Tra gli effetti di questa vigorosa stretta va annoverato anche il crollo dei mercati immobiliari a livello globale. Avere tassi più alti significa anche che diventa più costoso sottoscrivere un mutuo per comprare casa e quindi, nel contesto di un’attività economica in rallentamento e di un’occupazione in discesa, le compravendite calano. Ricorda qualcosa?

Tracciare immediati paragoni tra la situazione attuale (prezzi del gas alle stelle, inflazione in rapido aumento e tassi in salita) e quella del passato è sempre rischioso. Tanti i fattori che entrano in gioco e al di là delle similitudini, tante anche le differenze tra oggi e mezzo secolo fa. Tuttavia negli ultimi mesi del 2022 dal settore immobiliare sono giunti diversi scricchiolii e le previsioni per il 2023 non sono rosee. A livello generale è stimata una discesa delle quotazioni del 4%. Naturalmente la situazione rimane fortemente differenziata da paese a paese, da città a città, ma la tendenza è comune.

Lo scorso 1 dicembre il fondo Breit ( Blackstone Real Estate Income Trust) di Blackstone, specializzato in investimenti immobiliari, ha fatto scattare il limite, previsto da statuto, ai disinvestimenti dopo un’ondata di richieste arrivate dall’Asia. Il fondo, che ha asset per 69 miliardi di dollari concentrati nelle aree sub urbane statunitensi, non ha mostrato particolari problemi di liquidità, i tetti ai prelievi scattano in maniera automatica se si superano tetti mensili. E le richieste di disinvestimento sembrano essere state dettate non tanto dalla sfiducia nel prospettive del fondo in sé ma dalla necessità degli investitori asiatici di recuperare liquidità per compensare problemi sui mercati locali. Tuttavia la vicenda è emblematica di come il battito d’ala di una farfalla a Shanghai possa provocare effetti a cascata dall’altra parte del globo. Lezione che dovrebbe essere stata marchiata a fuoco dopo la crisi del 2008 innescata proprio da una caduta dei valori immobiliari negli Stati Uniti.

Segnali da Oltreoceano – Negli Stati Uniti, dove i tassi di interesse hanno raggiunto il 4,75% e il costo medio di un mutuo l’8%, si iniziano a registrare i primi contraccolpi sebbene le previsioni sul 2023 non paiano al momento catastrofiche. I prezzi delle case nelle 20 maggiori città americane, misurati dall’indice S&P Case- Shiller, sono calati in ottobre dello 0,8% rispetto al mese precedente, mentre su base annua sono saliti dell’8,6%. I compromessi per l’acquisto di novembre sono però diminuiti del 4% rispetto ad ottobre e del 38% su base annua, più delle attese. Come ricorda a IlFattoquotidiano.it l’economista del centro ricerche Ref Fedele De Novellis, negli Usa la Federal Reserve è più avanti rispetto alle altre grandi banche centrali nel percorso di stretta monetaria e questo sta avendo ricadute dolorose per le famiglie, specie quelle a basso reddito.

“Alcune categorie di acquirenti sono state ormai tagliate fuori dal mercato e questo, continua De Novellis, provocherà in prospettiva una flessione dei prezzi, una minore redditività del settore immobiliare e di conseguenza anche un minor interesse degli investitori per il comparto”. Quello delle costruzioni sembra essere il principale canale attraverso cui le decisioni della Fed si ripercuotono sull’economia reale rallentando l’attività produttiva e raffreddando i prezzi. Un segnale di frenata del settore si può cogliere anche dal prezzo del legname che si è praticamente dimezzato nella seconda parte dell’anno. “L’Europa (i tassi sono al 2,5%, ndr) è più indietro e bisognerà capire cosa farà la Bce nel 2023, se continuerà e con che ritmi ad alzare il costo del denaro”, ragiona De Novellis che nota come si registrino alcuni segnali come la discesa del prezzo del gas e dei carburanti che potrebbero allentare la pressione inflazionistica e dare più margine alla Bce.

Europa, gelo al Nord – Tra i paesi che segnalano le maggiori criticità ci sono quelli del Nord Europa dove le quotazioni avevano corso più che altrove. Negli anni scorsi nei paesi scandinavi le banche erano arrivate ad offrire mutui a tassi negativi. Chi comprava una casa finiva quindi per rimborsare alla banca una cifra inferiore al prezzo pagato e al valore del mutuo. “Miracoli” di un decennio del tutto anomalo quanto a condizioni monetarie con le banche centrali che, a loro volta pagavano gli istituti di credito per prendere soldi in prestito. In Danimarca i prezzi delle case stanno scendendo più velocemente che nel 2011, di fronte al maggior costo dei mutui gli acquirenti chiedono sconti più consistenti per concludere l’acquisto. Nell’ultimo trimestre i listini segnano in media un – 7%. Il mattone danese era finito tra gli obiettivi di investitori giapponesi ma, ora che anche la Bank of Japan approccia un cambio di rotta, le operazioni dall’Asia perdono convenienza.

Veloci riduzioni di prezzo si stanno registrando anche in Svezia dove la banca centrale ha gradualmente portato i tassi dal 2,5 al 4,5%. I prezzi delle case sono scesi del 12% rispetto ai picchi raggiunti ad inizio 2022, spiazzando gli analisti che si attendevano una discesa meno ripida. In precedenza un annuncio di vendita a Stoccolma restava in vetrina in media 15 giorni, ora oltre 40. Eppure la capitale svedese non è considerata una città dove i prezzi sono particolarmente tirati. Secondo la banca svizzera Ubs il suo indice di “rischio bolla” è relativamente modesto. In base a questa indagine con le quotazioni più surriscaldate sono Toronto, Francoforte e Zurigo. Parigi e Londra si collocano in una zona media mentre New York, Dubai e Milano si trovano nella parte più sicura della classifica. In Francia il 54% dei notai, che come in Italia gestiscono le compravendite immobiliari, si attende un calo dei prezzi delle case nei primi mesi del 2023. In Gran Bretagna dove al fattore tassi si sommano la debolezza dell’economia e un’inflazione particolarmente perniciosa in termini di perdita di potere di acquisto delle famiglie i prezzi hanno per ora solo iniziato a raffreddarsi con le offerte di acquisto in discesa del 44%.

“Il segmento residenziale sta iniziando a dare i primi sintomi di malessere, con una riduzione un po’ dappertutto, Italia compresa, nel numero delle transazioni, con le previsioni di fine anno in calo rispetto al 2021, che aveva addirittura superato i livelli pre-Covid. Anche i prezzi hanno iniziato a scendere, seppure più lentamente, in particolare negli Usa, in Gran Bretagna e perfino a Parigi, la città più cara d’Europa (dopo Lussemburgo), abituata ad una crescita a doppia cifra, dove il calo nelle quotazioni supera l’1%”, spiega a IlFattoquotidiano.it Valeria Genesio, presidente per l’Italia del gruppo immobiliare Agedi.

Italia, un mondo (un po’) a parte – In novembre il tasso medio applicato dalle banche ai nuovi mutui è salito al 3,02% dal 2,75% di ottobre, tornando sui livelli del 2014. E anche nel nostro paese il maggior costo dei prestiti è destinato a influenzare il mercato. “È previsto un calo generale nel residenziale con i futuri acquirenti dei ceti medi che dovranno rimandare i loro progetti o ridurre le metrature, pur con le eccezioni nel segmento lusso e in quello delle seconde case, che sta vivendo una nuova giovinezza, favorito anche dallo smart working”, riassume Genesio. C’è poi Milano che fa storia a sé: “Pur in un rallentamento fisiologico nel volume delle transazioni dopo sei trimestri consecutivi di rialzi, le previsioni sono ancora di una crescita dei prezzi fino alle Olimpiadi invernali del 2026, anche se a un ritmo più lento di oggi, grazie anche a riqualificazioni urbanistiche importanti ad alta vocazione “green”, come la conversione dei sette ex scali ferroviari”.

“Quella italiana è una situazione un po’ particolare”, fa notare De Novellis, “poiché con gli incentivi degli ultimi due anni come il superbonus il settore delle costruzioni è stato spinto molto, le imprese hanno fatto utili. Il comparto rimane sotto pressione perché i sostegni sono stati ridotti, ma rimangono importanti. Siamo alla fine di un ciclo espansivo ma probabilmente nell’immediato non assisteremo a grandi cali dei prezzi sebbene le compravendite diminuiranno. Una dinamica che di per sé non è negativa vista la situazione. Si presenterà però il problema della capacità delle famiglie di affrontare l’acquisto della casa tra prezzi che non scendono o lo fanno poco e mutui che diventano più cari”. Ma questo, ricorda l’economista, dipenderà anche dalle prossime decisioni della Bce.

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Thursday, December 29, 2022

Bollette, tariffe in discesa per l'elettricità: -19,5%, perché la luce ora è meno cara - Corriere della Sera

Scende del 19,5 per cento il costo della luce per i prossimi tre mesi. L’Autorità Arera ha annunciato le nuove tariffe che saranno in vigore per chi è rimasto nel mercato tutelato nel primo trimestre 2023. L’aggiornamento riguarda i 7,3 milioni di clienti domestici che non sono ancora passati al mercato libero e che, in base all’ultima proroga deliberata a metà novembre dal governo attraverso il decreto Aiuti Quater, potranno restare nella tutela fino a gennaio 2024. Il calo è dovuto alla discesa delle quotazioni all’ingrosso dei prodotti energetici e agli interventi del governo sulle bollette contenuti nella legge Bilancio 2023.

Stoccaggi pieni

«Con il livello degli stoccaggi europei di gas che si attesta a fine anno sopra l’80% della capacità e i prezzi a termine che indicano condizioni meno tese per l’equilibrio di domanda e offerta del gas nel primo trimestre del 2023 rispetto alle aspettative di inizio ottobre 2022 e ai prezzi formatisi nel mese di dicembre — si legge nella nota dell’Arera — anche le quotazioni a termine dell’energia elettrica si sono mosse al ribasso». Già nel quarto trimestre 2022, in base al preconsuntivo, il prezzo unico nazionale è risultato in calo del 48% circa rispetto ai livelli molto elevati del terzo trimestre 2022 (246 euro a megawattora rispetto a 472 €/MWh in media trimestrale).

Besseghini: ma mercati ancora volatili

Ma — avverte il presidente dell’Autorità — serve cautela. «La situazione sui mercati all’ingrosso — precisa Stefano Besseghini — ha risentito di particolari condizioni ambientali ma anche di un’evoluzione e di un rafforzamento della capacità di reazione del sistema al permanere delle tragiche vicende belliche che ancora caratterizzano lo scenario internazionale. Tuttavia i mercati sono caratterizzati ancora da una marcata volatilità, la stagionalità inciderà sulle variazioni dei prezzi del gas e i valori assoluti rimangono ancora straordinariamente alti».

Aumento del 67% in un anno

In termini di effetti finali la spesa per la famiglia-tipo nell’anno compreso tra il primo aprile 2022 e il 31 marzo 2023 sarà di circa 1.374 euro, +67% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente. A poter permettere di «contenere» i rincari sono anche le risorse messe in campo dal governo, che con la legge di Bilancio 2023 ha confermato l’azzeramento degli oneri generali di sistema in bolletta per il settore elettrico a tutti i clienti domestici e ai non domestici con potenza disponibile fino a 16,5 kW, e per il gas a tutti gli utenti. L’Autorità segnala che la fiscalizzazione dei cosiddetti «oneri nucleari» dal 2023 diventa definitiva: la spesa relativa sarà sostenuta direttamente dallo Stato.

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Rete unica, si apre la fase due. Meloni: "Controllo pubblico è l'obiettivo" - CorCom - CorCom

IL TAVOLO DEL GOVERNO

Nuove interlocuzioni a gennaio: il ministro Urso auspica una soluzione nell’interesse nazionale e nel rispetto degli investitori stranieri, alias di Vivendi. Il valore della rete, la questione del debito e la vendita degli asset: tre le principali questioni sul piatto. Da chiarire il ruolo di Cdp e di eventuali altri soggetti pubblici

29 Dic 2022

Mila Fiordalisi

Direttore

scacchi3

Prudenza su questa materia. Tim è una società privata e quotata. Confermo che il Governo si dà il duplice obiettivo di assumere il controllo della rete e di lavorare il più possibile per mantenere i livelli occupazionali. Il resto lo lasciamo alla dinamica libera del mercato“: questa la risposta del presidente del Consiglio Giorgia Meloni in conferenza stampa per la presentazione della Manovra 2023 appena approvata, in risposta alla domanda di un giornalista sul dossier rete unica.

Spero entro il 31 dicembre, saremo in grado di dare indicazioni sulla rete Tim. Tutto sempre perseguendo l’interesse nazionale nel rispetto degli investitori stranieri”: queste le parole del ministro delle imprese e made in Italy Adolfo Urso alla vigilia dell’ultimo tavolo dell’anno sulla rete unica e sul futuro di Tim. Un auspicio che evidenzia un percorso ancora “aperto” e che fa presagire tempi più lunghi per arrivare a una chiusura reale della partita. E infatti le interlocuzioni riprenderanno nel mese di gennaio.

Indice degli argomenti

Si apre la fase due del Tavolo

I rappresenti delle istituzioni presenti hanno proposto di aprire una seconda fase del Tavolo per approfondire possibili misure incentivanti per il settore, richiedendo nel contempo agli azionisti di formulare le proposte che gli stessi intendono mettere in campo per addivenire ad una soluzione finale, in un quadro condiviso e sostenibile”: questo il pasaggio cruciale della nota diramata a conclusione del quarto incontro del Governo tenutosi presso il Mimit che ha visto impegnati rappresentanti delle istituzioni (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la trasformazione digitale della stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero delle Imprese e del Made in Italy) e dei soci di Tim- Vivendi e Cassa Depositi e Prestiti.

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“Il tavolo ha esaminato le possibili ipotesi di intervento in materia, tenendo conto dell’esigenza di assicurare, da un lato, i livelli di efficienza della rete, a controllo pubblico, e dell’altro di valorizzare le risorse umane impiegate nel settore”, si legge ancora nella nota. “Sono anche state approfondite le implicazioni relative alla concorrenza e al mercato, nell’ottica di un imprescindibile dialogo con le istituzioni europee al fine di garantire agli utenti le migliori soluzioni”.

Si aprono ora ulteriori attività di approfondimento nell’ambito delle quali verrà coinvolto il management di Tim.

La questione occupazione e la posizione dei sindacati

“Prendiamo atto delle dichiarazioni di poco fa del Presidente del Consiglio Meloni e troviamo francamente complicato far convivere le due azioni ovvero, una società della rete pubblica e la salvaguardia occupazionale degli oltre 40.000 dipendenti del Gruppo Tim e degli altrettanti occupati nell’indotto“, commenta il Segretario Generale della Uilcom Salvo Ugliarolo. “Riteniamo che tale operazione sia dannosa perché spazza via la quinta azienda privata del Paese, supera l’operatore verticalmente integrato che è il più grande operatore delle Tlc del Paese e contesto e tutte le sue grandi ricchezze tecnologiche e di servizi presenti al suo interno. Con questa operazione, si spezzetta valore e gran parte di esso viene consegnato ai privati. Certo si potrà avere una rete pubblica ma il resto viene messo sul Libero mercato mettendo anche circa 18.000 occupati attualmente. Ciò per noi vuol dire gestire potenzialmente migliaia di esuberi, lo abbiamo detto in vari contesti oggi lo vogliamo riconfermare perché il sistema ne abbia contezza e memoria”.

La posizione di Vivendi

Appena qualche giorno fa Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi, si è detto “grato a questo governo e in particolar modo al Mimit e al ministro Urso, e agli altri dicasteri competenti, per aver creato le condizioni e un clima sereno e costruttivo che accompagna il lavoro dei tavoli tra governo e azionisti di maggioranza di Tim, con l’obiettivo di trovare una soluzione condivisa che risponda agli obiettivi di Governo e che soddisfi tutti gli stakeholders nell’interesse del Paese”. Un clima considerato inoltre “propedeutico per considerare altri investimenti in Italia che possano suggellare la partnership tra Italia e Francia”. Dichiarazioni senza dubbio distensive rispetto al braccio di ferro che ha contraddistinto la fase dell’opa Kkr da 11 miliardi respinta al mittente un anno fa e che comportò il cambio al vertice dell’azienda con la nomina dell’Ad Pietro Labriola. Ma va ancora definito il perimetro dell’operazione rete.

Il ruolo dei fondi

I fondi infrastrutturali, a partire proprio da Kkr – che detiene il 37,5% in Fibercop (la wholesale company di Tim guidata da Carlo Filangieri che vede in campo anche Fastweb) – sicuramente avranno un ruolo chiave: determinante anche Macquarie, azionista di Open Fiber con il 40%, in particolare per avviare il progetto di “rete nazionale”- come l’ha definita il Sottosegretario Alessio Butti. E sarebbero in corso trattative anche con Gip (Global Infrastructure Partners).

Il ruolo di Cdp e l’ipotesi Invitalia-Infratel

Cassa depositi e prestiti resta il soggetto “privilegiato” a garanzia della governance pubblica, ma la questione del debito di Tim non consente a Cdp di entrare nella partita con una quota azionaria di maggioranza (attualmente Cassa è a circa il 10% in Tim e al 60% in Open Fiber). Fra gli altri soggetti papabile ci sarebbe Invitalia. E un ruolo potrebbe giocarlo anche Infratel: secondo rumors di stampa nella in house del Mimit capitanata da Marco Bellezza potrebbero confluire alcune risorse direttamente da Tim nella gestione del dossier occupazionale.

Il valore della rete e il debito spalmato su Netco e ServCo

Dai 30 miliardi di Vivendi ai 15 del memorandum Cdp: la forchetta è ampia e bisognerà trovare la quadra. Secondo quanto risulta a Corcom si starebbe lavorando a una cifra intorno ai 22-24 miliardi o comunque vicina alla soglia dei 20 miliardi e ragionando sulla questione del debito da spalmare in Netco (10 miliardi) e anche in ServCo (4 miliardi)  le due costole del piano di societarizzazione annunciato da Tim, per riequilibrare gli “oneri”.

Riflettori su Sparkle

La vendita della rete farebbe il paio con quella di Sparkle, l’operatore internazionale del Gruppo Tim che stando ai rumors potrebbe essere venduto a un soggetto pubblico, Cdp in testa.

Il modello Eni-Enel

“Le operazioni nazionali di mercato meglio riuscite sono state Eni ed Enel, dove lo Stato è rimasto socio di minoranza, mentre le aziende, guidate da manager maturati nelle competenze interne, sono diventate leader mondiali. Ernesto Pascale voleva per Tim simile operazione di mercato. Le Tlc non sono da meno dell’energia per un grande Paese. È il caso di sperare che questo governo compia una torsione europea, per un riassetto delle Tlc patriote, in linea con Spagna, Francia, Germania. C’è da augurarsi che la premier, anche questa volta, batta il colpo giusto” scrive in un suo intervento sulle pagine del Corriere della Sera Vito Gamberale, ex manager di Teleco Italia secondo il quale sia la vendita degli asset di Tim sia la separazione della rete dai servizi sono “stramberie”.

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Rete unica, si apre la fase due. Meloni: "Controllo pubblico è l'obiettivo" - CorCom - CorCom
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La compagnia petrolifera statunitense Exxon Mobil ha fatto causa all’Unione Europea per la tassa sugli extraprofitti - Il Post

Wednesday, December 28, 2022

Bonus edilizi e data entro cui ultimare i lavori, l'Assistenza multicanale delle Entrate chiarisce - Ipsoa

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Bonus edilizi e data entro cui ultimare i lavori, l'Assistenza multicanale delle Entrate chiarisce  Ipsoa
Bonus edilizi e data entro cui ultimare i lavori, l'Assistenza multicanale delle Entrate chiarisce - Ipsoa
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Di quanto aumenta l'Isee se ci sono più soldi sul conto corrente - Money.it

È tempo di rinnovare l’Isee: dal prossimo gennaio sarà online l’apposito servizio Inps per l’invio della Dsu, o in alternativa ci si potrà rivolgere a caf e patronati.

Il timore di molti è che l’Isee aggiornato possa risultare più alto, riducendo così l’importo dell’assegno unico oppure facendo perdere il diritto ad alcune misure, come ad esempio può essere il reddito di cittadinanza.

Le ragioni che possono determinare l’aumento dell’Isee sono perlopiù due: un incremento dei redditi oppure dei patrimoni, sia mobiliari che immobiliari. Ad esempio, un aumento dei soldi sul conto corrente avrà ripercussioni sull’Isee, comportando, a parità di altri fattori, un aumento dell’indicatore.

La domanda è: come un aumento dei risparmi avrà ripercussioni sull’Isee? Facciamo chiarezza, ricordando che per l’Isee si guarda a redditi e patrimoni aggiornati al 31 dicembre di due anni prima dalla presentazione della Dsu; vediamo, dunque, come cambia l’Isee 2023 per coloro che tra il 2020 e il 2021 hanno visto crescere i soldi sul conto corrente.

Come si calcola l’Isee?

Come prima cosa va detto che il valore finale dell’Isee risulta dal calcolo di due componenti, ossia l’indicatore della situazione economica Ise e la scala di equivalenza Se.

Nel dettaglio, dividendo l’Ise per la Se si arriva all’Isee, che è il valore indicato alla fine della prima tabella presente nell’attestazione.

Esempio di attestazione ISEE
Ecco un esempio di attestazione ISEE, dove potete vedere tutte le singole voci appena menzionate e il processo che ha portato al calcolo dell’indicatore.

L’Ise è un parametro che tiene conto tanto dei redditi quanto dei patrimoni di proprietà dei componenti del nucleo familiare, aggiornati a due anni prima dalla presentazione della Dsu. È questo, difatti, il parametro che fotografa la situazione economica del nucleo familiare.

Sull’Ise hanno una maggiore incidenza i redditi rispetto ai patrimoni, in quanto si calcola applicando la seguente formula:

Isr (redditi) + 20% Isp (patrimoni)

Del patrimonio, sia mobiliare che immobiliare, se ne prende solamente il 20%. Ma in che modo i soldi sul conto corrente contribuiscono al risultato finale? La formula per il calcolo dell’Isp è la seguente:

Patrimonio immobiliare + (Patrimonio mobiliare - 15.493,71)

Entro i 15.493,71 euro, quindi, i soldi sul conto corrente non hanno alcuna incidenza sull’Isee, visto che non se ne tiene conto. Discorso differente quando invece superano tale soglia, in quanto il differenziale ha lo stesso identico peso del patrimonio immobiliare.

Cosa succede all’Isee se aumentano i soldi sul conto corrente?

Un aumento dei soldi sul conto corrente determina quindi un incremento del patrimonio mobiliare. Alla luce di quanto detto sopra, non ci sono però conseguenze per l’Isee quando nonostante un incremento tra il 2020 e il 2021 il patrimonio mobiliare resta sotto la franchigia dei 15.493,71 euro.

Diversamente, quando invece si va sopra tale soglia, il patrimonio mobiliare si somma a quello immobiliare e il 20% del risultato verrà sommato ai redditi, comportando di conseguenza un aumento dell’Ise e, a parità di scala di equivalenza, dell’Isee stesso.

Esempio

Facciamo un esempio per capire di quanto l’Isee aumenta in caso di incremento dei risparmi.

Prendiamo il caso della famiglia Rossi, composta da due componenti e quindi con scala di equivalenza pari a 1,57, che tra il 2020 e il 2021 ha mantenuto invariato il proprio reddito, 20.000 euro l’anno complessivo, così come il patrimonio immobiliare, 30.000 euro. Tuttavia, per effetto di un’eredità, hanno visto accrescere il loro patrimonio mobiliare da 15.000 a 30.000 euro.

L’Isee 2022 è stato così calcolato:

  • Isp: 30.000 euro + 0 (visto che il patrimonio mobiliare era inferiore alla franchigia)
  • Isr: 20.000 euro
  • Ise: 20.000 + (20% di 30.000) = 26.000 euro
  • Isee: 26.000/1,57 = 16.560 euro

L’Isee 2023, invece, sarà pari a:

  • Isp: 30.000 + (30.000 - 15.493,71) = 44.506,29 euro
  • Isr: 20.000 euro
  • Ise: 20.000 + (20% di 44.506,29) = 28.901,25 euro
  • Isee: 28.901,25/1.57 = 18.408,44 euro

Di fatto, in questo caso un incremento di 15.000 euro dei propri risparmi comporta un aumento di appena il 2.000 euro sull’Isee. Ben più rilevante sarebbe stato l’incremento dell’Isee in caso di aumento del proprio reddito, in quanto - come visto sopra - in tal caso sarebbe stata presa in considerazione il 100% della differenza e non il 20% come invece previsto per i patrimoni.

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Nasdaq, un'altra chiusura in rosso. Per Tesla la peggior seduta da aprile - Il Sole 24 ORE

4' di lettura

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Le Borse europee aprono col piede giusto l'ultima settimana del 2022, anche se la volatilità resta elevata consigliando prudenza agli investitori. Tra le migliori a fine seduta le piazze finanziarie di Parigi (CAC 40) e Francoforte (DAX 30). Resta invece indietro Milano, sul chi vive in attesa del via libera alle Legge di Bilancio, che ha terminato la giornata a -0,09% sul Ftse Mib. I listini azionari globali si avviano in ogni caso a chiudere quello che potrebbe essere il peggior anno dal 2008, quando la crisi finanziaria innescata dai mutui subprime aveva azzoppato gli indici. Tra i principali titoli milanesi, ha guadagnato Moncler approfittando dello stop alle quarantene obbligatorie per i viaggiatori in arrivo in Cina dall'8 gennaio del prossimo anno. Bene anche Saipem, Azimut e Cnh Industrial, mentre hanno perso terreno Stmicroelectron, Recordati ed Erg. Al di fuori del paniere principale, risale la Juventus Fc nel giorno in cui l'assemblea degli azionisti ha approvato il bilancio 2021-2022 chiuso con una perdita di 238 milioni.

Wall Street prosegue contrastata, bene i titoli cinesi

Contrastata la seduta a Wall Street (il Dow Jones ha chiuso in rialzo dello 0,11%, S&P 500 -0,40% e Nasdaq -1,38%).

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Tesla chiude ancora in forte calo a Wall Street. I titoli del colosso delle delle auto elettriche perdono l’11%, in quella che è la seduta peggiore dal 26 aprile. Tesla è avviata a chiudere il peggiore anno della sua storia, con i titoli in calo del 70% dal picco del novembre 2021.

L'ultima settimana del 2022 è cominciata con la paura che il prossimo possa essere un anno di recessione. Gli indici registreranno il primo anno negativo dopo tre consecutivi in rialzo e probabilmente il 2022 sarà archiviato come il peggiore dal 2008, anno della crisi finanziaria dei mutui subprime. I banchieri della Fed ora prevedono un picco dei tassi al 5,1% (valore mediano) nel 2023, in rialzo dal 4,6% delle previsioni di tre mesi fa. Una spinta positiva, nella seduta odierna, sta però arrivando dalla Cina, dove le autorità hanno deciso di allentare le restrizioni anti-Covid. Sull'azionario, Alibaba sale del 3,4%, JD.com del 3,1%, Pinduoduo del 3,5%, Baidu del 2,7%, NetEase del 2%. Il titolo di Southwest Airlines cede il 5,4%, dopo che la compagnia aerea ha ricevuto le critiche dell'amministrazione statunitense a causa del considerevole numero di voli cancellati per maltempo. Sul Dow Jones, Apple cede l'1,8% ed è il peggiore. Il Dow Jones sale di 74,27 punti (+0,22%), lo S&P 500 perde 9,22 punti (-0,24%), il Nasdaq Composite è in ribasso di 97,40 punti (-0,93%).

Scende ancora Tesla dopo il taglio produzione a Shanghai

Prosegue a Wall Street la discesa del titolo di Tesla, in netto calo dopo che la società di auto elettriche ha deciso di ridurre la produzione nel suo stabilimento di Shanghai, in Cina, a gennaio (dopo la chiusura imposta per l'ultima settimana di dicembre). La decisione non è stata giustificata da Tesla, che deve affrontare l'aumento dei contagi da Covid-19 e un calo della domanda in Cina, il maggior mercato automobilistico mondiale. Venerdì 23 dicembre, il titolo ha chiuso in calo per la sesta seduta consecutiva (e la nona su dieci), cedendo l'1,75% e scendendo ai minimi da olt re due anni, nonostante il ceo Elon Musk abbia detto che non venderà altre azioni di Tesla per 18-24 mesi (dopo che nell'ultimo anno, ha ceduto azioni per 39 miliardi di dollari per sostenere l'acquisto di Twitter per 44 miliardi di dollari). Dall'inizio dell'anno, il titolo cede circa il 65% e si avvia verso il suo peggior anno.

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Flat tax, per gli autonomi risparmi oltre i 4 mila euro. Con la tassa piatta incrementale altri sconti per i p - ilmessaggero.it

Un’autostrada a doppia corsia per correre più veloce del fisco e risparmiare così un bel po’ di tasse. Con la legge di Bilancio il governo ha messo a punto un meccanismo duale (finanziato con 1,2 miliardi) che consente ai lavoratori autonomi di respirare in un bel po’ sul fronte delle imposte. Da un lato l’esecutivo ha alzato da 65mila a 85mila euro la soglia massima per poter accedere alla cosiddetta flat tax (“tassa piatta”) al 15%, in modo da consentire una riduzione significativa della progressività del tributo su gran parte dei redditi. Il secondo braccio dell’operazione consiste invece nell’applicazione di una flat tax “incrementale” agevolata (sempre del 15 per cento) per ridurre l’impatto delle tasse sul surplus di reddito prodotto nei tre anni precedenti. Una sorta di premio di produzione. In questo secondo caso, ovviamente, occorre un aumento del reddito per poter godere dei benefici fiscali, mentre nel primo caso è sufficiente trovarsi già tra i 65 e gli 85 mila euro di reddito per vedersi applicare lo sconto impositivo migliorativo in confronto al regime attuale. 

I CASI

Ad esempio, proprio a quota 85 mila euro, un lavoratore autonomo con un coefficienti di redditività del 78% pagherà (senza però tenere conto di addizionali comunali e regionali) 4.368 euro di tasse in meno rispetto a quanto versa oggi. E questo in quanto sui 20 mila euro di reddito più alti (fino a 85 mila) non si applicherà più l’aliquota marginale del 43 per cento ma, appunto, la più generosa flat tax del 15 per cento. Di tutto rispetto il vantaggio anche per un lavoratore autonomo che guadagna 75 mila euro. Nel suo caso, la flat tax che sale a quota 85 mila euro vuol dire un taglio secco delle imposte da 2.184 euro. 

Se si sposta l’obiettivo sulla flat tax “incrementale” si può osservare che i benefici tributari possono essere potenzialmente anche maggiori. La norma, come ricordato, consente di applicare il 15 per cento di prelievo sugli incrementi di reddito riferiti agli ultimi tre anni. Con tre vincoli: l’incremento non deve essere superiore a 40 mila euro, c’è un forfait del 5 per cento sulla base imponibile e tra i tre anni precedenti (rispetto a quello ultimo in cui il re reddito è stato il più alto) bisogna prendere come riferimento quello collegato al reddito maggiore. Ad esempio, ipotizziamo un professionista con un reddito del 2023 pari a 100 mila euro e redditi registrati nel triennio precedente pari a 65 mila euro nel 2020, 70 mila nel 2021 e 75 mila nel 2022. La quota incrementale di reddito è pari a 25 mila euro (100 mila - 75 mila). A questo punto si applica la franchigia del 5% e la base imponibile scende così a 21 mila e 250 euro, sulla quale deve essere applicata la flat tax del 15%. Sulla restante quota di reddito (78 mila e 750 euro) resterebbe ferma l’imposizione progressiva (con Irpef pari a 26 mila e 763 euro, oltre addizionali). La tassazione complessiva, in questo caso, è pari a 29 mila e 950 euro. Nel caso in cui venisse applicata la tassazione ordinaria Irpef l’imposta sarebbe pari a 35 mila e 900 euro. Il vantaggio derivante dall’applicazione della flat tax incrementale è così pari a 5 mila 950 euro. 

LA SCELTA

Viene da sé osservare che la scelta della flat tax incrementale è tanto più conveniente quanto più una partita Iva si avvicina al tetto massimo consentito di 40mila euro. La convenienza è tanto maggiore quanto si supera lo scaglione più elevato del 43% di Irpef (sopra i 50mila euro), anche in relazione al fatto che la flat tax esonera dal versamento delle addizionali Irpef. Nelle intenzioni del governo, è evidente, la flat tax incrementale dovrebbe generare un meccanismo incentivante a favore di chi crea ricchezza. Questo anche in ottica di favorire la spinta a fatturare ed evitare meccanismi fraudolenti. 
Ancora in tema fiscale, il governo ha deciso di cancellare le cartelle esattoriali di importo inferiore a mille euro ma solo per i debiti affidati agli agenti della riscossione tra l’1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2015. Il debito non deve superare i mille euro complessivi, ossia comprensivi di capitale, interessi e sanzioni. E la rottamazione non riguarderà il capitale, ma soltanto gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, le relative sanzioni e i corrispondenti interessi di mora. Non solo. Gli enti locali, ed è questa la novità più rilevante delle ultime ore, avranno la possibilità di non applicare la norma. In pratica i Comuni avranno liberta di scelta e dovranno provvedere in questa direzione, se lo vorranno, entro il 31 gennaio 2023.
 

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Tuesday, December 27, 2022

Ecco le migliori 5 auto ibride del 2022 - ilGiornale.it - ilGiornale.it

Si sente sempre più parlare di auto elettrificate, o ancora meglio, di elettriche ma la realtà dei fatti è che, ad oggi, è ancora l’ibrido a comandare con le vendite rappresentando il miglior compromesso tra componente elettrica e praticità di utilizzo per l’utente finale. Con auto ibrida si intende una vettura che integra, all’interno del suo motore a benzina (o diesel, in alcuni casi), una seconda o più unità elettriche alimentate da una batteria e che supportano l’erogazione del motore termico. Esistono diversi livelli di ibridizzazione dell’auto (qui il nostro approfondimento), dal mild-hybrid, passando per il più versatile full-hybrid fino al più oneroso e sofisticato plug-in hybrid, in grado di assicurare dai 30 ai 70 e passa km in solo elettrico.

In questo articolo andremo ad elencare alcune delle moltissime vetture ibride presentate in questo 2022 e che, secondo noi, meritano di essere menzionate tra le cinque migliori dell’anno solare.

Kia Niro HEV

L’auto ibrida per eccellenza. Kia Niro è il crossover “nato ibrido” fin dal debutto della prima generazione, nel 2013. Siamo oggi arrivati alla seconda generazione, meglio rifinita, dal design più accattivante e dall’equipaggiamento così ricco da far impallidire una berlina premium tedesca. Una delle auto più versatili, tecnologiche, pratiche, parsimoniose e green in commercio (tant’è che nel 2016 ha vinto il Guinnes World Record nei consumi da Los Angeles a New York, con una media di 32,5 km/l). Il suo sistema ibrido abbinato all’1.6 a ciclo Atkinson e al cambio automatico doppia frizione, è così efficiente che non è stato richiesto di sostituirlo in occasione della nuova generazione, a testimonianza della bontà del progetto. Niro infatti, grazie alla sua piattaforma modulare “K” è in grado di ospitare tutti motori elettrificati, ma di diversa natura: è disponibile con il motore ibrido-full, ibrido plug-in e anche completamente elettrica. Interessante anche il prezzo, a partire da 30.500 euro. Per questo motivo non poteva mancare dalla nostra classifica per le migliori ibride di questo 2022 e, tra le altre cose, è in lizza per vincere l’ambito premio di Auto dell’Anno il prossimo gennaio 2023.

Honda Civic e:HEV

Honda Civic e:HEV

Da auto icona del mondo delle elaborazioni, del tuning, della cavalleria spropositata a vettura full-hybrid e super efficiente. Questa la trasformazione, il processo di maturazione che nuova Honda Civic ha portato a compimento in occasione dell’undicesima generazione di questo storico modello. Anticipata nel 2021 ma presentata solo nel corso del 2022, nuova Honda Civic (FL5) ha proposto la nuova meccanica full-hybrid brevettata da Honda stessa, chiamata e:HEV. Si tratta di un sistema ibrido capace di marciare in modalità in serie, in parallelo e in serie-parallelo, praticamente tutte e tre le alternative di funzionamento ad oggi disponibili nel mondo dell’ibrido. In condizione normale, il motore a benzina funziona come generatore di energia per ricaricare la batteria, la quale poi alimenterà il motore elettrico principale in trazione sulle ruote anteriori. In caso di necessità, però, il motore a benzina può anche andare a dare motricità alle ruote anteriori tramite una frizione di blocco, mentre il motore elettrico supporta la spinta. Al netto di ragionamenti complessi, la nuova Honda Civic eroga ben 184 CV (più dell’ex 1.5 turbo benzina) ma consuma meno del precedente 1.0 3 cilindri a benzina, con medie prossime ai 19/20 km al litro (un valore notevole se si considerano i suoi 4,55 metri di lunghezza). Prestazioni allegre, design accattivante, qualità notevole e consumi da citycar con un prezzo di partenza da 34.300 euro. Se non è meritevole questo progetto…

Toyota Corolla Cross

Toyota Corolla Cross

Nella lista delle migliori ibride del 2022 non poteva mancare chi l’ibrido, di fatto, l’ha realmente inventato. Si parla ovviamente di Toyota, pioniere della tecnologia ibrida sull’auto fin dagli ultimi anni ’90, con i primi modelli che hanno aperto la strada al successo attuale. Un’auto progettata quasi da manuale, con forme da suv/crossover di segmento C, grazie ai suoi 4,46 m di lunghezza e un nome conosciuto a livello globale. Inizialmente presentato solo per i mercati asiatici, è arrivata in Europa nel 2022, con piccoli aggiornamenti per posizionarsi a metà strada tra C-HR e Rav4. Forme squadrate e pratiche, piuttosto tradizionali ed è spinta da un consolidato 2.0 4 cilindri a ciclo Atkinson abbinato a due unità elettriche, per una potenza complessiva di 199 CV. I consumi? Dichiarati di quasi 20 km/l ma anche nell’utilizzo pratico, il dato riscontrato non sembra discostarsi molto. Il tutto, ad un prezzo di partenza di 38.000 euro, con le versioni top di gamma e trazione integrale a 43.500 euro.

Nissan Qashqai e-Power

Nissan Qashqai e-Power

È stato uno dei primi veri SUV ad affacciarsi sul mercato, già nel lontano 2007, anticipando quello che molte altre case automobilistiche avrebbero poi fatto negli anni successivi. La prima generazione, con il restyling del 2010 ha riscosso un grandissimo successo, complice la linea appagante, il grande spazio a bordo e il prezzo accessibile di tutte le versioni. Ironia della sorte, però, è una delle ultime della categoria a ricevere una motorizzazione full-hybrid, complici i ritardi nello sviluppo della tecnologia e-Power da parte di Nissan. Ciò però non toglie che rappresenti uno degli ibridi più interessanti del 2022, proprio per la modernità del progetto. Si compone di un 1.5 a ciclo Atkinson abbinato ad un’unità elettrica, per una potenza complessiva di 190 CV e ben 330 Nm di coppia massima. Consumi dichiarati di soli 5,3 l/100 km, quindi vicini ai 18 km al litro, notevole nonostante i 4,43 m di lunghezza. Davvero contenuto il peso, soli 1,370 kg, ad un prezzo quasi incredibile, a partire da 36.270 euro, fino ad un massimo di 45.020 euro.

Ferrari 296 GTB

Ferrari 296 GTB

Si abbandona il mondo del full-hybrid per premiare l’unica Plug-in Hybrid della nostra classifica. Poteva non essere una Ferrari? Il marchio di Maranello ha infatti commercializzato la sua supercar ibrida plug-in, dopo il primo esperimento dell’hypercar SF90. Grazie all’elettrificazione, Ferrari è riuscita ad elevare la potenza a ben 830 CV, di cui circa 663 a carico del motore termico (nuovo 2.9 V6 di 120°) e 167 di competenza dell’elettrico. È alimentato da una batteria a 7,45 kWh che assicura circa 20 km in modalità elettrica ma il sistema è così ben congegnato che durante una sessione di track day, le frequenti frenate consentono di non far mai scaricare la batteria, assicurando perciò sempre il massimo delle performance. Si traduce in uno 0-100 km/h coperto in soli 2,9 secondi, fino ad una velocità massima di 330 km/h, per un peso di soli 1.470 kg. Si tratta dell’ennesimo capolavoro di Ferrari, ormai già avviata sul tema dell’elettrificazione, senza però fare sconti in termini di piacere di guida ed emozioni al volante. Il prezzo? A partire da 273 mila euro.

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Borse, l'Europa inizia bene l'ultima settimana del 2022. Vola la Juve - Il Sole 24 ORE

2' di lettura

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Si muovono in rialzo le Borse europee nell’ultima settimana dell’anno e dopo la pausa natalizia. La chiusura in rialzo di Wall Street, le notizie provenienti dalla Cina dove saranno abolite le quarantene per coloro che arrivano dall’estero e gli spiragli di trattative di pace o cessate il fuoco in Ucraina, dopo l’apertura del presidente russo, Vladimir Putin, incoraggiano ordini in acquisto. Sono ben impostati il FTSE MIB a Milano, il DAX 30 di Francoforte, il CAC 40 di Parigi e l'AEX di Amsetrdam.

A Milano corrono Moncler e Saipem. Scatto della Juve

A Piazza Affari sono comprate le Moncler, che potrebbero beneficiare della revisione delle misure anti-Covid annunciate nella Repubblica Popolare. Vanno bene le azioni oil, con Saipem che corre in testa al listino. In rialzo anche Eni e Tenaris. Sono ben impostate le banche, mentre Enel sale dopo aver reso noto l’accordo per una linea di credito revolving da 12 miliardi di euro. Sotto i riflettori Banca Mps, dopo che la Bce ha confermato per il 2023 requisiti patrimoniali Srep in linea con il 2022. Oggi, inoltre, si riunisce l’assemblea della Juventus Fc, le cui azioni, dopo una volata di oltre il 9%, sono entrate in volatilità.

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Spread con Bund a 208 punti, rendimento sale al 4,52%

Apertura in leggera flessione per lo spread tra BTp e Bund. Il differenziale di rendimento tra il BTp benchmark decennale italiano (Isin IT0005494239) e il pari scadenza tedesco ha aperto la seduta a 208 punti base dai 211 punti dell'ultimo riferimento. In aumento il rendimento del BTp decennale benchmark che segna una prima posizione al 4,52% dal 4,47% della vigilia.

Tokyo chiude in rialzo grazie alle riaperture in Cina

La Borsa di Tokyo ha chiuso in leggero rialzo, sostenuta dall'imminente fine delle quarantene obbligatorie all'arrivo in Cina, malgrado la reazione preoccupata del Giappone a questa decisione. L'indice di punta Nikkei ha chiuso in rialzo dello 0,16% a 26.447,87 punti e l'indice Topix ha guadagnato lo 0,4% a 1.910,15 punti. I guadagni erano stati maggiori in mattinata con la speranza di veder tornare in Giappone flussi di turisti dalla Cina, ma in considerazione del forte deterioramento della situazione sanitaria in Cina nelle ultime settimane, il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha annunciato che tutti i visitatori provenienti dalla Cina continentale dovranno sottoporsi a un test Covid all'arrivo in Giappone a partire da venerdì e che i voli dalla Cina saranno limitati. Le Borse di Shanghai e Shenzhen sono in positivo, ma l'indice Hang Seng della Borsa di Hong Kong è sceso dello 0,44% in mattinata.

Giappone, cala al 2,5% tasso di disoccupazione

Il tasso di disoccupazione giapponese è sceso a novembre al 2,5% della forza lavoro, secondo i dati destagionalizzati diffusi dal ministero dell’Interno. Il settore dei servizi, in particolare hotel e ristoranti, continua a beneficiare della riapertura del Giappone ai visitatori stranieri da inizio ottobre e dei sussidi pubblici a sostegno del turismo interno. Resta stabile a 1,35 il rapporto tra posti vacanti e domande, ossia c’erano 135 offerte di lavoro ogni 100 candidature. La Banca del Giappone ha sorpreso i mercati una settimana fa aggiustando la politica monetaria ultra accomodante, ma secondo il governatore Haruhiko Kuroda non si tratta di un primo passo verso la normalizzazione.

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Monday, December 26, 2022

Btp, la mossa vincente: come far soldi nonostante la Lagarde - Liberoquotidiano.it

 Christine Lagarde
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Michele Zaccardi

«Nuovi strumenti finanziari» per aumentare «il coinvolgimento diretto dei risparmiatori italiani». La strategia del governo per gestire i 2.770 miliardi di euro di debito pubblico pari al 145,7% del Pil, è stata delineata da Giancarlo Giorgetti durante un'audizione parlamentare a inizio dicembre.

L'idea del ministro dell'economia è di convogliare la liquidità delle famiglie verso nuove tipologie di titoli di Stato. Un po' un ritorno agli anni '80, l'epoca dei bot people, quando il 20% del debito era detenuto dai piccoli risparmiatori, percentuale scesa al 7,42% di quest' anno. L'obiettivo è quello di sottrarsi il più possibile ai repentini cambi di umore dei mercati, in un anno, il 2023, che vedrà il graduale ritiro dei sostegni della Banca centrale europea.

Certo, finora, nonostante Francoforte ce l'abbia messa tutta per complicare la vita al governo Meloni, tra maxi rialzi dei tassi di interesse e la fine dei programmi di acquisto dei titoli (Pepp e App), l'Italia non ha sofferto più di tanto. Anzi, a giudicare da alcuni indicatori, sta pure meglio di qualche mese fa. Dopo aver superato i 250 punti base a metà ottobre, lo spread è diminuito fino a un minimo di 177 punti a inizio dicembre, per poi attestarsi, in seguito alle ultime decisioni della Bce, intorno ai 210, con il rendimento del decennale che ieri è arrivato al 4,47%. Insomma, per dirla con le parole del responsabile della Direzione debito pubblico del Mef, Davide Iacovoni, non c'è un «caso Italia» sui mercati europei.

Ma il meteo, per il 2023, promette pioggia. Con il cosiddetto Quantitative Tightening, che partirà a marzo, la Bce limerà i reinvestimenti dei titoli in scadenza, riducendo in questo modo il proprio bilancio di 15 miliardi di euro al mese. E questo fino alla fine del secondo trimestre.

NUOVI TITOLI
Dopodiché il ritmo potrebbe persino aumentare, magari attraverso vere e proprie vendite di bond. Visto come stanno le cose, tutelarsi diventa un obbligo. Da qui la strada indicata da Giorgetti, con l'introduzione di nuovi titoli destinati ai piccoli risparmiatori, sulla scorta del modello del Btp Italia, indicizzato all'inflazione e con un "premio fedeltà" per chi lo porta a scadenza. Strada che è stata messa nero su bianco dalle "Linee guida della gestione del debito pubblico" publicate dal Mef qualche giorno fa.

Nel documento sono snocciolati anche numeri sulle emissioni previste per il 2023. Senza contare i Bot, nel 2023 scadranno 260 miliardi di euro di titoli che andranno quindi rimpiazzati, cifra a cui vanno aggiunti i circa 90 miliardi di fabbisogno del settore statale. Considerando che una parte verrà coperta dai prestiti europei e dalla liquidità che c'è in cassa al momento, il Mef prevede di collocare sui mercati 310-320 miliardi di titoli a medio lungo termine (contro i 285 miliardi di quest' anno). Oltre ai Bot (139,4 miliardi nel 2022), per gestire in modo flessibile le esigenze di finanziamento dello Stato il Tesoro punterà non solo sui Btp Italia (ne scadranno 25 miliardi l'anno prossimo) con una o due emissioni, ma anche, nel caso, sui Btp Futura (che non sono stati emessi quest' anno).

AUTARCHIA
Inoltre, nel documento si legge che verrà valutato il ricorso anche «nuovi strumenti che possano risultare di interesse per il pubblico dei risparmiatori retail, tenuto conto di un contesto di tassi di interesse nettamente più elevati rispetto anche al recente passato». Potrebbe vedere la luce poi il Btp autarchico, riservato ai residenti in Italia e dotato di un maxi sconto fiscale. Insomma, il 2023 sarà l'anno dei Btp. Ma se gli strumenti a disposizione del Mef potranno variare, l'obiettivo rimarrà lo stesso: riportare il debito pubblico in mani italiane e metterlo così al riparo dalle turbolenze dei mercati. Stando ai dati di Bankitalia, al 30 settembre erano detenuti da soggetti esteri titoli per 638,9 miliardi di euro, il 28,18% del totale, mentre altri 748,4 miliardi (il 33%) risultavano nei bilanci di banche, assicurazioni e fondi di investimento italiani. Infine, 169 miliardi sono registrati sotto la voce "altri residenti", che comprende i risparmiatori retail. Il problema riguarderà soprattutto i 711 miliardi che la Banca d'Italia ha acquistato per conto della Bce. Finora questa montagna di titoli ha sonnecchiato placidamente nei forzieri di via Nazionale, ma con il Quantitative Tightening una parte andrà smaltita. Gli investitori privati dovranno perciò accollarsi una quota maggiore di debito pubblico. Senza l'ombrello della Bce, insomma, sarà tutto più difficile.

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