Il Superbonus dal prossimo anno di fatto non esisterà più. Per i lavori avviati nel 2024 infatti in teoria sarebbe ancora possibile accedere all’agevolazione (ipotizzando che la normativa non cambi ancora) ma senza cessione del credito o sconto in fattura e soprattutto con un’aliquota ridotta al 70%. Non ha senso, se si considera che l’Ecobonus in condominio permette di ottenere il 75%, certo in dieci anni e non in quattro ma con molti meno vincoli.
Intanto il Fisco si prepara a riprendersi qualcosa di quanto finora l’Erario ho dovuto sborsare. E lo fa con due armi. La prima, che però si poteva dare per scontata, è quella della riclassificazione degli edifici per cui si sia fatto ricorso alla maxiagevolazione. Cambierà cioè la rendita catastale con conseguenze che sfioreranno in qualche caso chi abita un’unità immobiliare prima casa. Non c’è in questo caso Imu da pagare (le prime case sottoposte al tributo l’imposta sono le abitazioni di lusso, escluse dal Superbonus) ma il valore catastale, calcolato sulla rendita, ad esempio contribuisce al calcolo dell’Isee e un aumento potrebbe far perdere qualche agevolazione sociale. Se il proprietario rivende chi comprerà quella casa pagherà ovviamente di più l’imposta di registro. Se si tratta di seconda casa invece le conseguenze sull’Imu sono immediate.
Più rilevante, e anche più sorprendente, un’altra norma presente nel disegno di Legge di Bilancio: se l’immobile per cui sia stato chiesto il Superbonus viene rivenduto prima di dieci anni da quando sono terminati i lavori pagherà l’imposta sul capital gain, con tre corpose eccezioni: la norma non si applica 1) se si tratta di un’abitazione adibita a prima casa per la maggior parte del tempo trascorso tra il termine dei lavori e la vendita; 2) alle abitazioni pervenute per successione o donazione; 3)infine quando i lavori siano stati pagati direttamente e si sia chiesto il rimborso nella dichiarazione dei redditi. Se si rivende dopo cinque anni ma prima di dieci il prezzo di acquisto o il costo di costruzione vengono rivalutati ricorrendo all’indice Istat.
Come funziona
L’imposta sul capital gain immobiliare è l’erede della vecchia Invim. È stata prevista dalla Legge di Bilancio del 2006 e ha come scopo quello di disincentivare le vendite speculative. L’aliquota è del 26%, come quella del capital gain delle vendite di titoli. Nella sua applicazione standard il periodo entro il quale scatta l’imposta è di cinque anni; inoltre a somiglianza di quanto era previsto per l’Invim i lavori di ristrutturazione dell’immobile abbattono l’entità del capital gain: se ad esempio si è comprata una casa per 200mila euro, si sono effettuati lavori documentati per 50mila euro e si rivende entro i cinque anni a 300mila l’importo della tassa è di 13mila euro, cioè il 26% di 50mila. Nel caso di questa versione riveduta e corretta anche le spese effettuate per il superbonus e rimaste a carico del proprietario non sono detraibili.
Bonus edilizi, la ritenuta sale all’11%
Infine ricordiamo che anche se non riguarda in prima battuta i committenti dei lavori dal 1° aprile entrerà in vigore l’aumento della trattenuta fiscale sui bonifici parlanti relativi ai bonus edilizi. Oggi la banca, che funge da sostituto di imposta, trattiene all’impresa l’8% che versa all’Erario. Si salirà all’11%. Non è solo una partita di giro perché erodendo la liquidità delle imprese l’incremento del prelievo rischia di portare a un incremento dei costi per i clienti finali.
Superbonus, cosa cambia dal 2024: addio 110% e arriva la stretta su chi rivende casa - Corriere della Sera
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