È rimasto inascoltato l’appello che l’Abi e i sindacati del credito hanno rivolto al governo con una lettera inviata ad aprile, in cui si denunciava la tempesta che si sta abbattendo sui dipendenti bancari per effetto delle norme sui fringe benefit. Si tratta dei compensi in natura che i datori di lavoro possono erogare ai dipendenti e vi rientrano i buoni pasto, le auto aziendali, le borse di studio, i prestiti a tasso agevolato nel caso delle banche. Negli ultimi anni la disciplina ha subito diverse modifiche e il governo ha intenzione di infilarne altre nella manovra di dicembre, perché corroborano l’immagine di un esecutivo prodigo con lavoratori e famiglie.
Per ora non concorrono alla formazione del reddito se non superano la soglia di 258,23 euro (3mila per i lavoratori con figli a carico), mentre in caso contrario si pagano Irpef e contributi sull’intera somma. A generare il cortocircuito che sta mandando all’aria i conti di intere famiglie, accomunate dall’aver contratto un mutuo con la banca per cui lavorano, è una norma del Tuir, il Testo unico delle imposte sui redditi, modificata nel 1999 per agevolare i contribuenti in un periodo di tassi d’interesse negativi. Prima di quella data, infatti, per calcolare il risparmio conseguito dal lavoratore-mutuatario grazie allo sconto sul tasso d’interesse praticatogli a titolo di fringe benefit si prendeva a riferimento il tasso ufficiale (TUR) al momento della stipula del mutuo e l’ammontare della differenza tassabile era stabilito una volta per tutte. Per effetto di quella modifica, oggi invece il “delta” che concorre alla formazione del reddito varia al variare del tasso Bce: un indice che a fine luglio 2022 era fermo allo 0,5%, mentre oggi è arrivato al 4,25% dopo la stretta monetaria decisa a Francoforte per combattere l’inflazione. Senza contare gli ulteriori rialzi ventilati per settembre, come è emerso dai verbali dell’ultima riunione dell’istituto. I dipendenti-mutuatari perciò vedono crescere a dismisura la forbice sulla quale verrà applicata l’aliquota Irpef, senza aver avuto alcun beneficio.
“Ho un foglio Excel che aggiorno ogni volta che sento parlare in tv la Lagarde. Da quando ho saputo di questa norma ne ho fatto una malattia”, confessa Flavia Tognolo, una dipendente bancaria di Treviso. A poco è servito l’innalzamento della soglia di esenzione a 3mila euro, prevista dal decreto Aiuti quater e prorogata con il decreto Lavoro per tutto il 2023 solo per i lavoratori con figli a carico. “Se il tasso resta quello di oggi, quest’anno dovrò pagare 3mila euro. Ma in realtà è una roulette russa, non posso sapere in anticipo quanto devo accantonare. A quel punto dovrò licenziarmi o vendere la casa”.
Poniamo che una lavoratrice con un figlio a carico abbia un debito residuo di 200 mila euro da rimborsare con lo 0,60% di interessi (tasso fisso agevolato) in rate mensili da 700 euro. Se il tasso Bce attuale (4,25%) dovesse essere confermato a fine anno, il fringe benefit figurativo su base mensile equivarrebbe all’1,825% del debito residuo [(4,25% − 0,60%)/2], diviso dodici. Tenendo conto che ogni mese il capitale si riduce di 700 euro, a fine anno si ottiene un beneficio presunto di 3.579,73 €, da assoggettare a tassazione per intero perché supera la soglia di esenzione per i lavoratori con figli a carico (3mila euro). La conseguenza è un risiko che impatta su diverse voci della dichiarazione dei redditi.
“I miei colleghi che per risparmiare hanno scelto il tasso variabile oggi stanno pagando il 3% d’interesse, certo, ma non pagano i fringe benefit o pagano pochissimo (perché la forbice tra tasso ufficiale e tasso applicato al mutuo è minima, ndr). Loro però gli interessi possono portarli in detrazione al 19%, mentre io ho le mani legate e da marzo sto pagando 150 euro al mese, fino a novembre”, spiega Adriana Ciminiello, dipendente di una filiale del Monte dei Paschi a Napoli. Mamma di due bambine piccole, ha acquistato la prima casa nel 2021 con un mutuo agevolato allo 0,48%, da restituire in trent’anni. “Per effetto di questo calcolo mi sono trovata un Cud più elevato quest’anno e avrò un Isee più alto. Questo significa che andrò a perdere i benefici sugli asili, sulla mensa scolastica delle gemelle e l’assegno unico, come se avessi maggiori guadagni”.
Come il Montepaschi, anche altre banche hanno deciso di dilazionare le trattenute per non consegnare buste paga negative. Altre invece hanno trattenuto tutto e subito. “Io e molti altri non vedremo né lo stipendio di dicembre, né la tredicesima”, chiosa. Certamente non noccioline per chi, oltre a mantenere la famiglia, deve pagare rate di mutuo tra 700 e 1000 euro ogni mese. “Il nostro è un caso unico: per esempio gli sconti che la Fiat pratica ai dipendenti che acquistano un’auto non sono considerati fringe benefit, così come i mutui a tasso agevolato dei parlamentari”, spiega Emanuele, bancario di Acerra che ha estinto il debito appena prima che la norma iniziasse a creare problemi. Insieme ad Adriana ha lanciato una petizione che per ora ha raccolto 1.745 firme. “Pensiamo che questa norma sia incostituzionale, perché l’articolo 53 dice che la tassazione deve essere agganciata alla capacità contributiva. Nel nostro caso ci viene chiesto del denaro su somme virtuali, che non abbiamo mai visto”, dichiara Adriana. Per ora l’Agenzia delle Entrate ha rifiutato di interpretare la norma in maniera favorevole ai contribuenti, com’era nello spirito della modifica del 1999, mentre il dl Lavoro ha lasciato inalterata la disposizione “incriminata”. Il salasso intanto continua.
Mutui e fringe benefit, il cortocircuito che sta mandando in crisi i conti dei dipendenti bancari - Il Fatto Quotidiano
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