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Wednesday, March 15, 2023

Il crac della Silicon Valley Bank e la ricerca dei colpevoli: tutto quello che rischia Biden - Corriere della Sera

Le responsabilità sono ben ripartite, ma alla fine sarà soprattutto l’Amministrazione Biden a dover rispondere del bilancio di questa crisi

La turbolenza bancaria nata dal crac della Silicon Valley Bank (SVB) è ancora in pieno svolgimento, ha acquisito una diramazione elvetica (Credit Suisse), e a Washington già si è «sdoppiata» in una dimensione politica. La caccia al colpevole è in pieno svolgimento. Democratici e repubblicani si accusano a vicenda per la carenza di controlli.

Le responsabilità sono ben ripartite, ma alla fine sarà soprattutto l’Amministrazione Biden a dover rispondere del bilancio di questa crisi. La sua decisione di salvare tutti i clienti della SVB , anche quelli molto grossi e molto ricchi, sta facendo discutere. Ad alimentare le polemiche contribuiscono la figura del chief executive della SVB e di un amministratore dell’altro istituto fallito, la Signature Bank di New York, per i loro rapporti con il partito democratico.

La prima a politicizzare questa vicenda è stata una figura celebre della sinistra, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. Forse ve la ricordate per la sua breve e sfortunata candidatura alla nomination democratica (poi vinta da Joe Biden) nel 2020. La Warren deve la sua notorietà alla crisi bancaria precedente, quella del 2008. All’epoca del movimento Occupy Wall Street lei emerse come una delle personalità più critiche verso i salvataggi dei banchieri. Barack Obama voleva metterla alla guida della nuova authority per la tutela dei risparmiatori ma dovette rinunciare per l’opposizione dei repubblicani. Ora la Warren è passata all’attacco rimproverando proprio ai repubblicani una responsabilità grave dietro il crac della SVB. La sua critica si riferisce all’annacquamento di certe regole prudenziali varate dopo il disastro del 2008. La crisi originata dal crac Lehman e dall’insolvenza dei mutui subprime, diede vita a una monumentale riforma, la legge Dodd-Frank approvata dal Congresso nel 2010.

Lì dentro c’erano regole contro la speculazione, requisiti di capitalizzazione delle banche, e i famosi stress-test poi adottati anche dalla Bce in Europa, che servono a verificare periodicamente la solidità di bilancio delle aziende di credito. La Dodd-Frank si applica alle banche «sistemicamente importanti», quelle cioè il cui fallimento può mettere in pericolo la stabilità dell’intero sistema creditizio. Inizialmente, nel 2010, vennero definite come tali tutte le banche con attivi di bilancio superiori a 50 miliardi di dollari. Ma da quel momento in poi cominciò una campagna lobbistica per esentare le banche di medie dimensioni, come la SVB.

Alla fine il tetto delle banche «sistemicamente importanti» fu innalzato molto, passò da 50 a 250 miliardi di dollari. Questo cambiamento avvenne nel 2018 sotto la presidenza di Donald Trump. Perciò Elizabeth Warren oggi punta il dito contro i repubblicani: se non avessero rilassato le regole, la SVB sarebbe stata soggetta a requisiti più severi e a maggiori controlli. Probabilmente avrebbe dovuto coprirsi dal rischio sui titoli a reddito fisso con delle operazioni di «hedging» (che costano e riducono i profitti) per tenere conto dell’impatto che un eventuale rialzo dei tassi avrebbe avuto sul proprio portafoglio di Buoni del Tesoro.

Anche la Federal Reserve è sotto accusa, perché nel 2019 emanò nuove regole che eliminavano certi requisiti di liquidità per le banche sotto i 250 miliardi di attivi. La ricerca dei colpevoli si allarga in molte direzioni: alcuni rilassamenti di norme e controlli chiamano in causa l’esecutivo (in quel caso repubblicano, Trump), altri l’autorità di vigilanza i cui vertici sono una stratificazione di nomine democratiche e repubblicane, altri ancora furono voluti dal Congresso dove la lobby bancaria ha amici in tutti e due i partiti.

La figura al centro di tutte le accuse è l’ex chief executive della SVB, Greg Becker. Su di lui ora è stata aperta un’inchiesta d’ufficio, sia da parte del Dipartimento di Giustizia sia da parte dell’organo di vigilanza sulle Borse che è la Securities and Exchange Commission (Sec). Tra l’altro Becker vendette un terzo del suo pacchetto azionario nella SVB appena una settimana prima del crac. Becker sedeva anche nel consiglio della Federal Reserve Bank di San Francisco. Lui, e il mondo dei grandi finanziatori del venture capital della Silicon Valley legati alla SVB, avevano stretti rapporti con il partito democratico che è praticamente il «partito unico» in California.

I legami stretti fra l’ambiente delle start-up e la sinistra alimentano le accuse secondo cui Biden avrebbe riservato un trattamento di favore alla banca di Becker, assicurando anche depositanti che avevano molti milioni sul conto (mentre il limite legale dell’assicurazione federale si ferma a 250.000 dollari). E’ stato osservato con ironia che il consiglio d’amministrazione della SVB si vantava pubblicamente di avere il 45% di donne, nonché un afroamericano e un esponente della comunità Lgbtq. L’unica componente a non essere rappresentata in quel board era la competenza sulla gestione del rischio bancario.

Una figura ancora più politica che è tornata in ballo in questa crisi, è il newyorchese Barney Frank. Ex deputato democratico, fu il co-firmatario della legge Dodd-Frank del 2010. Poi però, conclusa la carriera politica, fu reclutato nel consiglio d’amministrazione della Signature Bank di New York e da quel momento cominciò a fare campagna per annacquare la riforma che lui stesso aveva firmato. La Signature Bank è l’altra banca fallita nello scorso weekend, e anche in quel caso tutti i depositanti sono stati salvati dall’intervento pubblico. Barney Frank è stato fino all’ultimo nel consiglio d’amministrazione. E’ un altro anello di congiunzione fra il partito democratico e questa crisi bancaria.

I repubblicani non sono esenti da colpe visto che il rilassamento delle norme sulle banche porta la firma di Trump. Del resto la loro ideologia è tradizionalmente avversa ai controlli pubblici. Però non è un caso se Biden insiste a dire che «non ci sono stati salvataggi a spese del contribuente» (tecnicamente l’affermazione è vera solo se si riferisce al salvataggio degli azionisti delle banche fallite; però sono stati salvati dall’intervento pubblico i grossi clienti che non dovevano esserlo ai sensi della legge). Biden ha capito che è soprattutto contro il suo governo che la crisi bancaria rischia di essere usata. Del resto fu così nel 2008. La crisi dei mutui subprime avvenne sotto la presidenza del repubblicano George W. Bush e tra le cause che l’avevano provocata si potevano ravvisare responsabilità bipartisan (la deregolamentazione dei derivati, per esempio, era avvenuta sotto il democratico Bill Clinton). Alla fine però le contestazioni presero di mira soprattutto le modalità dei salvataggi delle banche operati da Barack Obama.

La rivolta populista contro l’assistenzialismo di Stato a favore dei banchieri, alimentò una radicalizzazione a sinistra (Occupy Wall Street) ma soprattutto un vasto movimento di destra come il Tea Party, antesignano e precursore del trumpismo. Intanto Biden, mentre con un occhio deve valutare i prezzi politici che rischia di pagare, con l’altro deve continuare a seguire un crisi in evoluzione. La paura dei mercati, la corsa verso i titoli sicuri, stanno sottoponendo a grandi tensioni anche il mercato finanziario più liquido del mondo, quello dei Buoni del Tesoro americani. Nel mio videocommento sulla «recessione Godot» – attesa e annunciata, ma che non arriva mai – accenno al ruolo delle banche centrali nel fabbricare una recessione. La Fed ci stava provando con i rialzi dei tassi d’interesse, i cui aumenti hanno sfasciato il bilancio della SVB. Ma prima ancora, forse aveva seminato i germi della crisi abbassando la guardia sui comportamenti rischiosi delle banche medio-piccole.

15 marzo 2023 (modifica il 15 marzo 2023 | 17:03)

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