I punti chiave
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È nuovo boom di occupazione negli Stati Uniti, a scacciare le ombre di recessione, almeno di una recessione imminente o già iniziata. Ma è un boom oggi a doppio taglio: se oggi rassicura fa allo stesso tempo tornare in auge la possibilità che la Federal Reserve debba nel prossimo futuro orchestrare manovre più aggressive per moderare la domanda e le spirali inflazionistiche, allontanando così speranze di un soft landing dell’economia.
Disoccupati ai minimi dal 1969
A luglio sono stati creati negli Usa 528.000 posti di lavoro, battendo nettamente le attese, ferme a 258.000, e accelerando nuovamente il passo dei nuovi impieghi. Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,5% dal 3,6%, ai minimi storici da mezzo secolo, dal 1969. La creazione di buste paga è stata la più convinta da febbraio e ha stracciato la media di 388.000 posti negli ultimi quattro mesi. Da aprile 2020, il momento del peggior abisso pandemico, il Dipartimento del Lavoro ha calcolato l'arrivo di 22 milioni di un totale di nuovi impieghi. “Sia il totale degli occupati che il tasso dei senza lavoro sono tornati ai livelli pre-pandemici del febbraio 2020”, ha sottolineato il Dipartimento del Lavoro. Il Dipartimento ha anche rivisto al rialzo i dati di giugno, ad una creazione di 400.000 posti.
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Inflazione anche da salari?
L'economia americana, va ricordato, è reduce da due trimestri consecutivi di contrazione del Pil, al passo annualizzato dell'1,6% e dello 0,9%, sintomo di una recessione quantomeno “tecnica”, sotto i colpi di inflazione e degli sforzi della Federal Reserve di combatterla con aggressive manovre di rialzi dei tassi di interesse. Ma il mercato del lavoro rimane tuttora un'oasi di solidità, mostrando il mese scorso anzi sorprendente forza a tutto campo. Una forza che si è estesa ai salari, lievitati oltre i pronostici dello 0,5% in un mese del 5,2% dall'anno scorso, contro pronostici del 4,9%, che hanno alimentato spettri di nuove spirali inflazionistiche prezzi-salari.
In gioco nuova stretta da 75 punti base
E’ abbastanza da rilanciare sui mercati e tra gli analisti il dibattito sulle dimensioni delle future strette di politica monetaria necvessarie da parte della Banca centrale, che ha fatto sapere di recente di voler essere particolarmente dipendente dai dati nei prossimi mesi evitando di offrire una chiara guidance sulle sue azioni. Wall Street, innervosita da ipotesi che in gioco siano mosse più drastiche di quanto anticipato, ha rispecchiato simili preoccupazioni, aprendo la seduta in ribasso. Paradossalmente, una mancata moderazione dell'economia in risposta alle strette Fed potrebbe infatti rendere ancora più arduo l'ottenimento del già menzionato e assai difficile soft landing, cioè di un ideale indebolimento graduale della domanda senza dar adito a serie crisi.
Il prossimo vertice a settembre
L’ansia e l’incertezza potrebbero protrarsi. Il prossimo vertice della Fed non sarà fino alla seconda metà di settembre, il 21 e 22, seguito da appuntamenti a novembre e dicembre, in tempo per ulteriori dati anche sull’occupazione. Finora l'ipotesi più accreditata appariva di una continuazione dei rialzi di tassi ma a meno draconiano rispetto ai 75 punti base degli scorsi due vertici - forse 50 punti e poi due volte 25 punti portando i tassi interbancari vicino al 3,5% a fine anno. Investitori hanno inoltre scommesso che, con una economia indebolita, la Fed possa in seguito avviare nuovi tagli di tassi già nel 2023.
Usa, il boom di occupati scaccia la recessione. Ma prepara nuove maxi-strette Fed - Il Sole 24 ORE
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