L'anno scorso la pressione fiscale in Italia ha toccato il record storico del 43,5% del Pil , nel 2022, invece, è destinata a scendere al 43,1 per cento. È quanto ha ricordato ieri l'Ufficio studi della Cgia di Mestre, sulla base dei dati dell'Istat e del ministero dell'Economia. Solo il prossimo 7 giugno (un giorno prima del 2021) gli italiani celebreranno il giorno di liberazione fiscale (o «tax freedom day»). Dopo più di 5 mesi dall'inizio del 2022 (pari a 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche), il contribuente medio italiano smetterà di lavorare per pagare tutti gli obblighi fiscali dell'anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, Irap, Ires, contributi previdenziali, ecc.) e dal 7 giugno inizierà a guadagnare per sé e per la propria famiglia.
Il consueto esercizio teorico degli artigiani mestrini è interessante sotto due punti di vista. Il primo è che, paragonando l'Italia agli altri Paesi europei, solo la Francia tra i grandi ha un fisco più esoso. Il confronto, effettuato sulla base dei dati 2020, evidenzia che il 42,8% (tra l'altro legato alle varie moratorie fiscali) è superato tra i big del Vecchio Continente solo dal 47,9% d'Oltralpe, secondo alla Danimarca (48%).
Il secondo attiene all'andamento degli ultimi 28 anni. La serie storica, ricostruita dalla Cgia a partire dal 1995, evidenzia come il giorno di liberazione fiscale più precoce sia stato nel 2005. In quell'occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso tutte le scadenze fiscali. In effetti, proprio il 2004 e il 2005 (gli unici due anni di vigenza effettiva della riforma fiscale Berlusconi) furono caratterizzati da una pressione fiscale del 39,2 e del 39%, le più basse del periodo considerato dagli artigiani mestrini.
Occorre, pertanto, effettuare una riflessione su quale direzione intraprendere nella riforma fiscale: un bivio che il governo Draghi tra breve dovrà attraversare. Si tratta, cioè, di scegliere se il Fisco debba avere una funzione redistributiva, ossia penalizzare i redditi medio-alti (il 4% dei contribuenti sopra i 70mila euro di reddito Irpef paga il 28% dell'imposta totale) per erogare bonus ai meno abbienti. Oppure se tagliare le tasse in funzione dello sviluppo, evitando le trappole della riforma del catasto e della tassazione del risparmio.
Ci sono, però, due situazioni con le quali confrontarsi. Il primo è stato comunicato dalla Fabi (il principale sindacato bancario) riguarda la crescita di circa un miliardo negli ultimi 12 mesi delle rate non pagate relative ai mutui e ai prestiti concessi dalle banche. Il totale delle sofferenze delle famiglie è passato, da febbraio 2021 a febbraio 2022, da 11,6 miliardi a 12,4 miliardi (+7% annuo). L'effetto combinato dei postumi della pandemia e del rialzo dell'inflazione ha peggiorato la situazione economica delle famiglie. Il Codacons ha invece sottolineato che il pranzo di Pasqua costerà 100 milioni in più a causa dei rincari degli ingredienti. I principali balzi sono quelli dell'olio di semi (+25,9% annuo), del burro (+17,6%) e della pasta (+13%). Per un chilo di farina si spende il 10,7% in più.
Nel 2022 lo Stato incasserà quasi 40 miliardi di maggiori entrate fiscali. Secondo la Cgia, occorre restituire questi soldi reintroducendo il fiscal drag, ossia l'adeguamento automatico del prelievo fiscale a fattori come l'inflazione e la crescita economica che generalmente comportano un aggravio. Nel 2022, invece, il peso del fisco è destinato a diminuire di 0,4 punti percentuali in un contesto di crescita economica meno vivace. Le prime mosse del governo Draghi sono state decisive. Ora si tratta di proseguire.
Abbiamo il record delle tasse e un'inflazione galoppante. Adesso il governo è al bivio - ilGiornale.it
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