Le banche centrali sono già impegnate nelle grandi manovre, ma non la Bce. L'Eurotower appare imbrigliata nel suo lessico familiare, un po' consunto dall'uso e da quanto sta accadendo in giro per il mondo. Le parole pronunciate ieri da Christine Lagarde al termine del direttivo che, come previsto, ha lasciato le bocce ferme, ricalcano infatti quanto già sentito in altre occasioni. E dunque, sì, l'inflazione sale a causa dei rincari energetici, della ripresa della domanda post-pandemica, dell'Iva in Germania, «ma l'influenza di questi tre fattori si allenterà nel 2022». Punto secondo, l'economia dell'eurozona «continua a crescere con forza», pur se i colli di bottiglia nell'offerta agiscono da freno. Punto terzo, i mercati possono anche scommettere su un rialzo dei tassi entro un anno, ma queste attese «non sono in linea con i nostri criteri» che stabiliscono le condizioni per una stretta. A tutto ciò va sommato l'ennesima sottolineatura che il Pepp, il piano di acquisto titoli da 1.850 miliardi di euro, arriverà al capolinea non prima della fine di marzo 2022.
Ai piani alti di Francoforte tutto appare insomma cristallizzato. E questo immobilismo assomiglia, paradossalmente, a un movimento in direzione contraria rispetto agli altri custodi dei templi monetari. Se la Federal Reserve ha già squadernato il suo tapering e la Bank of Canada ha annunciato sia la chiusura anticipata del quantatitive easing sia un giro di vite al costo del denaro fra aprile e maggio dell'anno prossimo, proprio ieri la banca centrale australiana si è astenuta dall'acquistare bond biennali, facendone subito raddoppiare i rendimenti. Insomma, c'è una presa di coscienza che la fiammata inflazionistica non sarà temporanea e che, anche quando l'offerta si sarà riallineata alla domanda, i rincari non verranno riassorbiti.
La situazione di Eurolandia non è diversa rispetto a quella di altri Paesi. Il carovita è salito in settembre al 3,4%, ma in Spagna i prezzi sono già schizzati in ottobre al 5,5%, un livello che non si vedeva da quasi trent'anni. Anche se rifiuta ciò che ormai pare un'evidenza, ossia la non transitorietà del fenomeno, il tempo non è dalla parte della Bce. A dicembre sarà inevitabile annunciare come sarà articolato il prosciugamento del Pepp, i cui acquisti dovranno azzerarsi in quattro mesi. La cautela con cui Francoforte tratta il restringimento degli aiuti ha un motivo: evitare tensioni sui titoli sovrani, che tuttavia già si vedono nello spread Btp-Bund, salito ieri fino a sfiorare i 120 punti. È un primo campanello d'allarme. Da non sottovalutare.
La Bce non cambia idea: avanti con acquisiti di bond - ilGiornale.it
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