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Wednesday, September 1, 2021

Perché il +17,3% del Pil dell’Italia è un dato che dice poco, sull'economia italiana - Corriere della Sera

Il riepilogo sull’andamento economico del secondo semestre 2021, diffuso ieri dall’Istat, va maneggiato con cura.

E quel +17,3% sul secondo semestre ‘20 è un numero che va letto e dimenticato.

Non ci racconta niente di significativo sull’itinerario dell’economia italiana al tempo della variante Delta perché il confronto è con un trimestre tragico, condizionato dall’offensiva del virus.

Il confronto vero sarà con il terzo trimestre

Caso mai vale la pena aspettare i dati sul terzo trimestre ‘21 che dovranno rapportarsi a un analogo periodo del ‘20 decisamente effervescente. Ma torniamo ai numeri di ieri: il +2,7% di aprile-giugno di quest’anno su gennaio-marzo è sicuramente un buon risultato, anche se è una mera conferma di quanto era stato previsto dall’Istat in sede di stima preliminare. Significa però che la crescita acquisita per il 2021 è del 4,7%, non poco. Di conseguenza se ne può dedurre che il dato definitivo del Pil dell’anno in corso finirà per oscillare tra il +5,5 e +6%, come sostengono diversi istituti indipendenti di ricerca.

Più consumi che investimenti. Meno forte la spinta dell’export

È interessante poi vedere come quel 2,7 sia stato trainato in gran parte dai consumi dalle famiglie e in misura minore dagli investimenti mentre la componente dell’export non è stata così larga come i risultati, ad esempio del food, potevano far sperare. Anche in questo caso — consumi delle famiglie — è successo solo ciò che si auspicava ovvero che per un effetto di rotazione della domanda i cittadini riprendessero a spendere laddove si erano dovuti limitare a causa delle restrizioni sanitarie. Merita una segnalazione anche l’aumento congiunturale delle ore lavorate (+3,9%) e delle posizioni lavorative (+1,9%).

Detto questo, bisogna però essere molto cauti, il percorso che dovrebbe portarci verso l’auspicato 6% non è affatto in discesa. Anzi.

La frenata dell’industria

Ce lo suggeriscono innanzitutto un paio di indicatori: l’ultima indagine a campione del Centro Studi Confindustria sulla produzione industriale riferita a luglio segnala una imprevista contrazione dello 0,7% rispetto al mese precedente e l’indice Istat di fiducia delle imprese ad agosto, dopo 8 mesi consecutivi di aumento, è calato da 115,9 a 114,2 (mentre quello delle famiglie ha subito solo una limatura da 116,6 a 116,2). Niente di trascendentale ma comunque un’inversione della tendenza.

Senza microchip si fermano le fabbriche di auto. E, in futuro, l’elettronica

Se poi passiamo dalle statistiche alla fenomenologia economica le raccomandazioni alla cautela trovano nuovi argomenti. Il primo caveat arriva dalla crisi di approvvigionamento dei semiconduttori rivelatasi più grave e più lunga del previsto. Fermate dell’industria dell’automotive si stanno susseguendo in tutto il mondo e in Italia hanno interessato Pomigliano, la Sevel di Atessa e adesso Melfi, il più grande stabilimento di Stellantis in Europa. L’oroscopo di settembre non promette niente di buono e il rischio che la crisi dei semiconduttori si protragga nel 2022 è concreto. E a quel punto potrebbe compromettere non solo i programmi produttivi dell’auto ma anche quelli dell’elettronica e dell’industria dei macchinari.

L’incognita dei prezzi alimentari

Per finire è giusto invitare a tener d’occhio il fronte dei prezzi. Se le ultime notizie indicano un raffreddamento degli aumenti di trasporti e noli, il boom delle materie prime alimentari sta creando tensione lungo la filiera, come testimoniato ieri dal dibattito dei panel di Cibus a Parma.

L’industria si vedrà obbligata a trasferire a valle il maggior esborso per le commodity con il rischio concreto di determinare rilevanti aumenti dei prezzi al consumo, che andrebbero a raffreddare proprio il maggiore driver (la spesa delle famiglie) degli aumenti di Pil degli ultimi mesi.

Ma si può vivere di solo export? Direi proprio di no.

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