Tre grandi aree economiche si sono contese l’attenzione degli investitori tra il 26 e il 28 luglio scorsi. In gara, e nell’ordine, la Banca centrale degli Stati Uniti, la Banca centrale europea e la Banca del Giappone. Le previsioni, rispettate, erano per un aumento di 0,25 punti del livello del rispettivo tasso di riferimento, sulle due sponde dell’Atlantico, e di un nulla di fatto in Estremo Oriente. Sotto esame, come già da molti mesi, l’incremento annuale del costo della vita: l’obiettivo, più volte ricordato dai presidenti delle banche centrali, è di riportarne l’aumento al 2% annuale. Le misure fin qui adottate, in ogni caso, hanno sensibilmente diminuito l’impatto dei rialzi dei costi delle materie prime, ma, soprattutto in Eurozona, la situazione appare ancora abbastanza complessa. La scarsità delle materie prime nel Vecchio Continente è la causa principale della lentezza con cui il tasso d’inflazione di Eurozona diminuisce. Le aziende sono costrette ad importarle, soggiacendo ad incrementi spesso rilevanti dei prezzi da parte di chi le detiene. Rialzi che, inevitabilmente, si sono riversati sui costi di produzione e, cascata, sui prezzi al dettaglio.
Le variazioni dopo le decisioni delle Banche centrali
Nelle date dei nuovi rialzi si sono registrate modeste variazioni sia degli indici azionari, sia dei rendimenti delle emissioni governative. Gli scambi di strumenti finanziari, nella quarta settimana di luglio, hanno convissuto non solo e non tanto con l’attesa dell’aumento di valore dei tassi di riferimento delle banche centrali, quanto del timore che le comunicazioni delle principali aziende quotate nelle Borse internazionali, che avranno luogo via via, possano evidenziare fatturati non brillanti e utili potenzialmente in calo. Un aspetto negativo, quest’ultimo, per gli investitori in azioni, e parzialmente favorevole per chi detiene in portafoglio prevalentemente strumenti obbligazionari. Perché, a fronte del possibile inizio di una frenata delle economie del globo, non solo le politiche monetarie dovrebbero evitare ulteriori aumenti dei tassi di riferimento, ma, paradossalmente, iniziare a ipotizzare cambi radicali nella strategia. Anche se, in effetti, ridurre immediatamente il costo del denaro sembra pressoché Impossibile. Ma, come spesso accade, le prospettive aziendali, gli utili in particolare, si stanno rivelando quanto mai positive. Insensibili, per ora, al divenire della politica monetaria «restrittiva». Fondamentale è, e resta, l’obiettivo della durata degli investimenti a medio e lungo termine.
Tra rischio e sicurezza
In quest’ambito, chi può rischiare, dovrebbe inserire in portafoglio sia titoli azionari legati al comparto tecnologico, sia a quello finanziario, perché il sistema bancario godrà ancora di una fase favorevole, grazie al perdurare di rendimenti medio alti. Al tempo stesso, potrebbe essere interessante seguire anche la strategia che contempla la presenza di emissioni obbligazionarie con durata medio lunga, perché, in una prospettiva non lontana, la fase di incremento dei tassi delle banche centrali e dei rendimenti di mercato, lascerà spazio ad una situazione diametralmente opposta. La scadenza decennale dei Btp è parte di una strategia a rischio emittente medio basso, ma foriera di una redditività di livello interessante. Per le emissioni decennali non si deve pensare solamente alla scadenza 2033, ma a durate anche di poco inferiori, portatrici, anch’esse di un buon ritorno in termini di rendimento. In ottica di strategia, è sempre importante ricordare che investire in emissioni con scadenze lontane non significa automaticamente mantenere in portafoglio lo strumento fino alla naturale data di rimborso. Soprattutto perché, laddove i rendimenti di mercato riprendessero la china discendente, probabilmente già nella seconda parte del prossimo anno, il valore di mercato di questi strumenti salirebbe discretamente. Fase in cui si dovrà optare o per incamerare un guadagno in conto capitale o mantenere il titolo in portafoglio, per incassare ancora cedole di valore medio alto.
Obbligazioni, allungare la durata paga: le strategie dopo i rialzi di Fed e Bce - Corriere della Sera
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