Per capire dove va la Cina di Xi Jinping è illuminante la vicenda dell’imprenditore Jack Ma, di fatto costretto a perdere ogni influenza da un’azienda che lui stesso aveva creato, la piattaforma di pagamenti digitali Ant-Alipay. Il geniale innovatore originario di Hangzhou era stato un mito per una generazione di cinesi, una figura iconica che nel suo paese cumulava il prestigio di personaggi americani come Bill Gates, Steve Jobs, Jeff Bezos o Elon Musk. La sua caduta in disgrazia si può considerare come un capitolo locale della crisi mondiale di Big Tech. In realtà è una storia diversa da quella che si svolge nella Silicon Valley, perché per molti aspetti è determinata dalla sterzata a sinistra di Xi Jinping, dal suo anti-capitalismo. La caduta di Ma era iniziata da tempo, ha preceduto di anni le difficoltà dei giganti digitali americani. Il suo è un declino preannunciato, che si accompagna sul piano personale ad un semi-esilio. È noto che da molti mesi Ma vive più a Tokyo che in Cina. Anche questo è significativo: l’anti-capitalismo di Xi, ancor prima dei suoi durissimi lockdown anti-Covid, aveva già causato un esodo di ricchi verso l’estero. Nessuno si intenerisce per questi miliardari che hanno sempre un piano B, un secondo passaporto o una residenza estera in cui ricostruirsi una vita altrove.
Però quella battaglia contro le mega-imprese digitali che Xi giustifica in nome della tutela dell’interesse pubblico, dei consumatori e dei lavoratori, rischia di privare la Cina di talenti imprenditoriali che avevano generato una formidabile ondata di innovazioni. Per tornare al parallelismo con la grande rivale: in America i capi di Big Tech vedono i propri patrimoni decurtati dai cali di Borsa, però non sono costretti a fuggire all’estero. Jack Ma, l’imperatore decaduto del capitalismo cinese, per molti aspetti è soprattutto la versione cinese di Jeff Bezos. Alibaba iniziò emulando Amazon, la regina orientale del commercio online ha finito per superare quella occidentale in termini di volume d’affari e raggio di attività. I due colossi digitali, pur essendo simili, si fanno poca concorrenza. Quando in passato ci fu una vera gara, per lo più vinse Alibaba: dominando a casa sua, nel mercato più grande del mondo dove Amazon è quasi sparita. Per il resto la multinazionale con sede a Hangzhou (l’ex capitale della seta dove visse Marco Polo) e quella basata a Seattle sulla West Coast si sono spartite le zone d’influenza molti anni fa, prefigurando nell’universo digitale un bipolarismo da guerra fredda. Comunque la cinese è diventata più grossa dell’azienda americana che all’origine la ispirò.
L’avventura di Jack Ma si può leggere come quella di un imprenditore geniale nel suo mestiere ma ingenuo politicamente, perché non ha capito che «volare troppo vicino al sole» (cioè a Xi Jinping) è un errore imperdonabile: vedi la parabola di Icaro secondo gli antichi greci. Quella di Bezos si può interpretare, al contrario, come la sintesi perfetta di un’America dominata dal capitalismo privato, dove i multimiliardari si atteggiano a progressisti, abbracciano cause di sinistra, appoggiano il partito democratico e si spacciano per campioni di ambientalismo. Nel confronto tra i due sistemi è consigliabile evitare le forzature o le caricature. Visto con gli occhi del consumatore cinese, il «metodo Xi Jinping» può sembrare una garanzia contro lo strapotere dei monopoli digitali, e contro l’eccessiva concentrazione della ricchezza in poche mani.
Nella gara tra America e Cina, il verdetto è ancora aperto su chi riesca a controllare meglio l’abuso di posizioni dominanti da parte delle mega-imprese. Grazie a Jack Ma i giovani cinesi all’inizio del XXI secolo ebbero un idolo nazionale da emulare, invece di inseguire capitalisti americani come Bill Gates e Steve Jobs. Inoltre la formula Ma, il successo imprenditoriale attraverso il percorso della start-up, è un percorso interessante per dare una risposta alle ansie della generazione dei Millennial cinesi, alle prese con una disoccupazione intellettuale in aumento. Al tempo stesso però il regime diffida dell’uso che questi capitalisti possono fare del loro potere. Per molto tempo Ma Yun/Jack Ma è stato attento a non occuparsi di politica. Fino a un certo punto. Poi anche lui ha avuto le sue debolezze, incluso un delirio di onnipotenza che gli sta costando caro. La sua storia va osservata da vicino per capire i rapporti tra il potere politico – sempre dominante – e il potere economico nella Cina di oggi. E dunque per decifrare la natura dell’economia cinese: in che misura si possa definire un’economia di mercato, e dove invece prevale il dirigismo pubblico, il capitalismo di Stato, l’economia «comandata» dal partito comunista. Sono questioni importanti per gli imprenditori cinesi – in certi casi è questione di vita o di morte – ma anche per tante imprese occidentali che operano in quel paese. All’inizio della sua ascesa il partito assecondava il culto della personalità di Jack Ma.
Il segretario comunista di Hangzhou, Wang Guoping, lo coprì di elogi a metà degli anni Duemila, con queste parole: «Una grande azienda di classe mondiale ha bisogno di un’anima, di un capo, di un imprenditore che abbia anche lui una statura mondiale. Jack Ma, io credo, soddisfa il requisito». Negli anni successivi, con il suo gigantismo Alibaba commette gli stessi abusi di posizione dominante di Amazon in Occidente: utilizza il proprio soverchiante potere contrattuale per imporre le sue condizioni ai fornitori, spuntando sconti feroci e imponendo dei rapporto esclusivi. Il modello Alibaba-Ant-Alipay è ancora più onnicomprensivo di Amazon, cattura il cliente in una relazione che tende a diventare totale, molti consumatori restano sempre all’interno di quell’universo che offre ogni servizio. In una visione che molti cinesi oggi sembrano condividere, l’altolà a Jack Ma è sacrosanto. La Cina riesce dove l’America finora ha quasi sempre fallito: nel piegare alla volontà del governo i big dell’economia digitale.
L’esperimento cinese va osservato senza paraocchi, visto da Pechino infatti è la conferma che là prevale l’interesse collettivo mentre in Occidente il potere politico di Big Tech è soverchiante e spesso incontrollato. A partire dal veto contro la sua quotazione in Borsa nell’autunno 2020, l’offensiva di Xi Jinping prende di mira Ant-Alipay. Costringe Ant a trasformarsi in una banca, come tale soggetta a tutti gli effetti alle stesse regole, controlli, vigilanza e requisiti di capitalizzazione. Gli argomenti usati dalla banca centrale per conto di Xi sono convincenti. Alipay, il sistema digitale di pagamento, ha un miliardo di utenti. Al culmine del suo successo, in un solo anno ha gestito transazioni equivalenti a un totale di 17.000 miliardi di dollari. Inoltre ha erogato prestiti a mezzo miliardo di cinesi, a cui ha anche venduto polizze assicurative e fondi comuni d’investimento.
Formidabile macchina da guerra, partendo dalla semplice operazione del pagamento digitale, ha costruito una tale capacità di raccogliere e gestire informazioni sugli utenti, da diversificarsi con enorme successo nel microcredito e nella gestione del risparmio. 690 milioni di cinesi parcheggiano la loro liquidità nel fondo d’investimento monetario di Ant, che amministra 260 miliardi di dollari. Ant ha costruito un vasto «ecosistema» che cattura una quota consistente della popolazione cinese erogando prestiti, e amministrando i risparmi. Il suo fondo monetario è aperto a versamenti a partire da dieci centesimi di euro. Una delle accuse del governo suona familiare: questo sistema spinge i cinesi a consumare al di sopra delle loro risorse, e a indebitarsi. Insomma è un cavallo di Troia per una americanizzazione delle abitudini di spesa. Inoltre il governo accusa Alibaba-Alipay di abuso di posizione dominante, per il modo in cui controlla i dati degli utenti, e li cattura in un rapporto esclusivo con i suoi servizi. Un esempio: le app di commercio online di Alibaba non accettano pagamenti con la moneta digitale delle piattaforme concorrenti come Tencent. (I concorrenti fanno la stessa cosa). È un sistema che in Cina viene chiamato «giardino murato», dove il consumatore non può scavalcare il muro di cinta.
Ant è diventata una mega-banca ma senza soggiacere alle stesse regole prudenziali delle altre aziende di credito. Pechino esige che sia trasferita dalle mani private di Alibaba-Ant-Alipay a quelle di un ente statale sotto il controllo della banca centrale. Altre 34 aziende del settore digitale, tra cui Tencent, vengono messe sotto pressione perché si adeguino alla lezione di Alibaba. Il carisma del fondatore non è del tutto scomparso. Però i tempi sono cambiati davvero, per lui e per altri miliardari del settore Big Tech. Il governo e la banca centrale di Pechino ora hanno ottenuto che lui si faccia anche formalmente da parte, cedendo la guida dell’azienda a quadri del partito comunista. Jack Ma continuerà a vivere una vita agiata, più tranquillo a Tokyo che nel proprio paese. Il quesito più generale che riguarda il futuro dell’economia cinese è chiaro: i suoi successori “organici” alla nomenclatura di partito sapranno esprimere lo stesso dinamismo, la stessa creatività?
8 gennaio 2023, 11:25 - modifica il 8 gennaio 2023 | 11:25
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Big Tech, ecco che cosa ci insegna la caduta di Jack Ma, la versione cinese di Jeff Bezos - Corriere della Sera
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