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Thursday, December 9, 2021

Case, classificazione energetica Ue: in Italia 5 milioni di edifici a rischio - Corriere della Sera

Un vasto programma quello che si propone la Ue: ottenere l’efficienza energetica degli immobili impendendo la vendita o l’affitto di quelli che non superino determinati requisiti. L’operazione potrebbe essere assimilata a quella che negli scorsi anni ha piano piano impedito la produzione e limitato la circolazione delle auto inquinanti con una differenza però alquanto sostanziale: le macchine vecchie si rottamano un po’ più facilmente delle case. Stando alle anticipazioni saranno previsti vari step temporali e si dovrebbe arrivare a regime nel 2033 (che, se parliamo di riqualificazione urbanistica, è praticamente dopodomani), anno dal quale sarà obbligatorio per chi acquista ristrutturare entro tre anni l’immobile. Ovvio che le conseguenze sul mercato immobiliare si registrerebbero molto prima e le abitazioni con cattiva classificazione energetica si venderebbero con molta difficoltà e a prezzi da saldo. Per restare al paragone con le auto, come sta succedendo a chi prova a vendere una vettura diesel usata.

La suddivisione in 10 classi

Per comprendere meglio i termini della questione però è necessario fornire qualche numero. Gli edifici sono suddivisi in dieci classi (la classe A di eccellenza a sua volta articolata in quattro sottoclassi e dalla B alla G, quella con prestazioni peggiori). Il modo per conoscere la classificazione energetica di un edificio o di un immobile è ottenere il cosiddetto APE (attestato prestazione energetica) che di fatto però è obbligatorio solo in tre casi: se si vuole vendere o locare un immobile o se lo si sottopone a ristrutturazioni agevolate dal fisco (come quelle per il superbonus) per le quali la legge lo preveda. Siccome solo una parte degli edifici dispongono di un Ape non è possibile dare numeri precisi all’unità ma si possono estrarre stime molto attendibili dai dati Istat e da quelli Enea.

L’87% degli immobili certificati è di classe D o peggiore

Un primo fattore di cui tenere conto è l’epoca di costruzione degli immobili: gli edifici residenziali in Italia sono circa 12,5 milioni: 7.160.000 sono precedenti al 1970 (l’attenzione alle tematiche energetiche prima della grande crisi petrolifera del 1973 era pressoché nulla), e comunque 11.230.000 strutture hanno più di trent’anni e nella grande maggioranza dei casi sono energivore. Enea pubblica annualmente un rapporto sulle certificazioni energetiche e ha inoltre dato vita al portale Siape (sistema informativo sugli attestati di prestazione energetica). Incrociando i dati e limitandoci agli immobili a destinazione residenziale nel quinquennio 2016-2020 sono state analizzate da Enea 1.645.445 certificazioni. Di queste l’87,9 % riguardano immobili in classe D o peggiore (le classi G da sole rappresentano il 35,7% del totale). Per quanto riguarda l’epoca di edificazione le case costruite prima del 1945 a fine del 2020 risultavano in classe D o peggiore nel 94,2% dei casi e si sale al 94,9% per le abitazioni costruite tra il 1945 e il 1972, quando il boom portava a non guardare molto per il sottile sulle caratteristiche degli immobili.

4,5 milioni di edifici a rischio

I numeri migliorano per le operazioni immobiliari di epoca successiva, ma se si considerano le abitazioni realizzate tra il 2006 e il 2015 gli edifici virtuosi secondo la Ue sono comunque ancora la minoranza (44,6%) e sono diventati maggioranza solo nell’ultimo quinquennio con l’85,9%. Tirando le somme ci sarebbero almeno 4,5 milioni di edifici residenziali da ristrutturare radicalmente entro il 2030 (nel caso venisse esclusa tutta la classe G). Un’ipotesi molto difficile da praticare, e impensabile senza un salasso di risorse pubbliche per agevolare le opere.

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