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Friday, October 8, 2021

La Bce vuole il "bazooka" senza fine - ilGiornale.it

Sarà stato certo il fortuito coincidere di due eventi, ma proprio ieri, nel giorno della staffetta fra Angela Merkel e Mario Draghi alla guida dell'Europa, Bloomberg ha rivelato cosa sta bollendo nella pentola della Bce: un nuovo piano di acquisti da inserire nel juke-box monetario non appena il Pepp, il programma anti-pandemia da 1.850 miliardi di euro, sarà arrivato al capolinea nel marzo 2022.

L'operazione è da pronto soccorso: si toglie una stampella per aggiungerne subito un'altra, probabilmente più robusta, incastonando i nuovi stimoli nell'impianto del vecchio quantitative easing, varato da SuperMario quando presiedeva la banca centrale e ancora in funzione per un ammontare pari a 20 miliardi al mese.

Di fatto, l'attuale inquilino di Palazzo Chigi qualche buona entratura a Francoforte deve averla mantenuta. E non solo perché ieri la Cancelliera tedesca lo ha elogiato per «aver sostenuto con grande convinzione l'indipendenza della banca centrale», ma per due buoni motivi. Il primo: i funzionari incaricati di mettere a punto il progetto non ne hanno ancora parlato né col consiglio direttivo, né col comitato esecutivo.

È il metodo di lavoro che più piace a Draghi: coagulare consenso attorno a una decisione che ha già preso e silenziare le minoranze, mettendole di fronte al fatto compiuto. Il secondo, e ancora più importante, è che si pensa di mutuare dal Pepp quella che per molti è considerata da sempre una blasfemia monetaria, nonché una forma opaca di mutualizzare i debiti con cui si rende la Bce un prestatore di ultima istanza. Ovvero, non tener conto della regola della capital key con cui vengono regolati gli acquisti in base al peso azionario di ciascun Paese nel capitale della banca guidata da Christine Lagarde.

L'intenzione sarebbe invece quella di avere le mani completamente libere «per arginare - spiegano le fonti della banca centrale a Bloomberg - le possibili speculazioni al ribasso sui diversi Stati». Dunque, shopping calibrato in base alle esigenze del momento, un dont't fight the Bce preventivo, teso a scoraggiare eventuali attacchi ai Paesi resi ancor più vulnerabili dal debito accumulato a causa del Covid. In pratica, al primo spiffero in arrivo dallo spread fra Btp e Bund, gli idranti della Bce entrerebbero in azione per spegnere subito l'incendio. Draghi, è ovvio, non vuole grane su questo versante perché d'intralcio ai propositi di risanamento dei conti pubblici, d'ostacolo alla sua politica riformista e potenzialmente mortale se il Patto di Stabilità verrà ripristinato nella sua pienezza.

Questo dispositivo di difesa colloca ovviamente sullo sfondo la questione della cadenza con cui verrà rottamato il Pepp, anche se dai verbali dell'ultima riunione è emerso che si è discusso di una maggiore riduzione nel ritmo degli acquisti, nella settimana al 1 ottobre pari a 19,1 miliardi contro i 20,9 di sette giorni prima. Così come l'intenzione di rendere strutturale il Qe potrebbe anche essere legato all'inflazione montante che sta, tra l'altro, creando le prime tensioni sulla curva dei rendimenti dei bond europei, con particolare riferimento al nostro decennale che ha visto risalire i tassi fino allo 0,86%. Attriti che non hanno risparmiato neppure i titoli tedeschi. Se l'aumento dei prezzi non sarà temporaneo, come più volte ribadito dalla Lagarde, i rendimenti rischieranno stress maggiori. Forse è proprio questo il motivo per cui i falchi dovranno ripiegare le ali. E accettare una protezione di cui hanno bisogno per non restare impallinati.

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