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Monday, October 18, 2021

Dimissioni post Covid, perché aumentano dagli Usa alla Cina. In Italia lasciano donne e neogenitori - Corriere della Sera

«Ne vale davvero la pena? Sono felice a lavoro?». Per milioni di americani la risposta sembra essere negativa. Negli Stati Uniti si parla di un fenomeno nuovo soprannominato “Great Resignation”, la “Grande Dimissione”, dal Washington Post. Secondo i dati del Dipartimento del Lavoro, circa 4,3 milioni di lavoratori statunitensi hanno lasciato il lavoro in agosto, una cifra che si espande a 20 milioni se si fa partire il calcolo da aprile. Molte di queste dimissioni hanno interessato i settori della vendita al dettaglio e dell’ospitalità, con i dipendenti che hanno scelto di abbandonare lavori pesanti, in Italia diremmo gravosi, e a basso salario. Complice la pandemia, che ha portato al centro il tema della salute personale, milioni di persone sembrano rifiutare i lati oscuri del lavoro. Mestieri e carriere vengono ora visti sotto una luce nuova.

Salari in aumento ma i lavoratori chiedono di più

A rendere evidente il trend è anche il fatto che negli States i salari siano aumentati negli ultimi mesi, si pensi a Mc Donald e all’aumento del 10% della busta paga o al +8% annunciato da Amazon , ma le imprese faticano ugualmente a trovare personale. I sintesi l’esperienza di una prolungata emergenza sanitaria pubblica ha spinto una miriade di americani a rivalutare le loro opzioni professionali. «Questa pandemia va avanti da così tanto che sta influenzando le persone mentalmente e fisicamente», ha detto al Wall Street Journal Danny Nelms, presidente del Work Institute, società di consulenza. «Tutti questi fattori stanno spingendo le persone a riflettere sulla loro vita, sulla loro carriera e sul loro lavoro. Aggiungete a questo oltre 10 milioni di nuove aperture, ed ecco che la possibilità di fare qualcosa di diverso non sembra più impossibile». Ci si licenzia, in breve, per cercare qualcosa di meglio senza accontentarsi dello stipendio a fine mese. Tempo libero e benessere sembrano battere la mera ragione economica.

La situazione globale

Nel resto del mondo va detto la situazione è grigia e per molti lasciare il lavoro è una obbligata. Una persona su 6 tra i 18 e i 29 anni in America Latina e nei Caraibi ha perso il lavoro dall’inizio della pandemia. I dati raccolti dall’OCSE mostrano come nei 38 paesi membri, circa 20 milioni di persone in meno lavorano rispetto a prima che il coronavirus colpisse. Di questi, 14 milioni sono usciti dal mercato del lavoro e sono classificati come ‘non lavoratori’ e ‘non in cerca di lavoro’. Rispetto al 2019, 3 milioni di giovani in più non sono impegnati in attività professionali o in percorsi di formazione. In Asia la Cina sta vivendo la propria versione della “Grande Dimissione”. Le nuove generazioni di lavoratori sono più disincantate e rifiutano i salari bassi offerti nelle fabbriche che hanno alimentato l’ascesa economica della Dragone. Le autorità di Pechino parlano, non a caso, di una crescente carenza di lavoratori qualificati in ambito tech.

Nel nostro Paese

E in Italia? Mancando un mercato del lavoro vitale come quello americano, i salari crescono poco e non abbiamo ancora recuperato i livelli occupazionali dal pre-pandemia, il fenomeno delle grandi dimissioni è nettamente ridotto. Anzi, tra 2020 e 2021 abbiamo assistito all’unicum del blocco dei licenziamenti. I cambi vita, ad ogni modo, ci sono anche in Italia e si legano all’organizzazione del lavoro mutata in pandemia e ai rapporti con colleghi e superiori. Possono incidere l’ambiente tossico non più tollerabile, l’orario monstre da 1o ore al giorno o l’abbandono totale del lavoro da remoto, che significa meno tempo libero e il ritorno alla vita pendolare per una buona fetta di italiani. Non a caso ad oggi diversi recruiter segnalano come già in fase di colloquio i candidati chiedano se l’azienda X garantisce giorni in smart working o meno. A dimostrazione di quanto siano mutate le esigenze dei lavoratori (o meglio di quanto ora se ne parli liberamente).

Dimissioni femminili e per motivi familiari

Per capire però le dimissioni all’italiana non si può non considerare il problema della conciliazione dei tempi casa-ufficio. Più che dimissioni per navigare verso lidi più rosei in Italia le dimissioni si danno per difficoltà familiari. I dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro ci dicono che nel 2020 ci sono state oltre 1,5 milioni di dimissioni chieste dai lavoratori. Un dato in linea con l’anno precedente e che va letto in relazione alla pandemia: l’incertezza ha spinto molti italiani a tenersi stretto il posto di lavoro. Tra le dimissioni però si segnalano comunque 42 mila dimissioni presentate da genitori con bambini da zero a tre anni. E nel 77,4% dei casi si tratta di dimissioni di donne. Dati indicativi di un problema enorme del sistema Italia dove la scelta di fare figli stride con quella di continuare a lavorare.

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