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Thursday, September 23, 2021

Terza dose di vaccino: quanto dura la protezione anti-Covid? - Corriere della Sera

di Laura Cuppini

Uno studio condotto all’Ospedale Niguarda di Milano su tremila persone mostra che il vaccino è protettivo dalla malattia anche dopo 6 mesi, nonostante il calo del titolo anticorpale (IgG). Il farmacologo Scaglione: «Non serve la corsa alla terza dose, proteggere i fragili con il richiamo è un atto precauzionale»

A pochi giorni dall’avvio della campagna per la terza dose di vaccino anti-Covid, oltre 15mila persone in Italia hanno ricevuto il richiamo. Per ora i destinatari sono i soggetti fragili (931mila tra trapiantati, pazienti oncologici con determinate caratteristiche, immunocompromessi), poi probabilmente — quando arriverà il via libera del Comitato tecnico-scientifico — sarà la volta del personale sanitario, residenti nelle Rsa e ultra 80enni. Vengono utilizzati solo i vaccini a mRna, quelli di Pfizer/BioNTech e Moderna, e devono essere trascorse almeno 4 settimane dalla seconda iniezione.

L’Agenzia italiana del farmaco ha pubblicato un elenco dei farmaci ad attività immunosoppressiva o immunomodulante, «da considerare ai fini della selezione dei soggetti per i quali può essere indicata la dose addizionale» (guarda il pdf). Si parla di una terza dose per tutti, ma su questo punto non c’è accordo tra gli esperti, nonostante alcuni studi preliminari indichino che il richiamo potenzia in modo significativo la risposta immunitaria.

«La prospettiva verosimile è una terza dose per tutti ma non si sa quando» ha detto nei giorni scorsi il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Per Sergio Abrignani, docente di Patologia generale dell’Università Statale di Milano e membro del Comitato tecnico-scientifico «la copertura con tre dosi di vaccino su tutta la popolazione costituirà una risposta decisiva alla pandemia». Da notare che la maggior parte dei vaccini che oggi utilizziamo nei bambini piccoli richiede tre dosi, in particolare quelli contro difterite, pneumococco, epatite B, tetano, meningococco B, poliomelite.

Il parere della Fda: terza dose solo a over 65 e fragili

Negli Stati Uniti il dibattito è infuocato. Gli esperti dei Centers for disease control and prevention (Cdc) si sono riuniti per valutare l’opportunità di fornire la terza dose e a quali gruppi di persone, dopo che la Food and drug administration (Fda) ha raccomandato il richiamo solo per gli over 65 e i soggetti fragili. Secondo uno studio dei Cdc si osserva un «significativo» calo dell’efficacia, inducendo a ritenere necessaria una terza dose generalizzata, così come sostiene da mesi l’immunologo Anthony Fauci.

Moderna risulta il vaccino più performante: dopo 120 giorni (4 mesi) dalla completa immunizzazione, l’efficacia contro i ricoveri è al 92% rispetto al 93% iniziale, contro il 77% di Pfizer. Per il monodose Johnson & Johnson l’efficacia cala al 68% dopo 28 giorni. I dubbi sulla richiamo (booster) generalizzato nascono, non solo negli Usa, anche dal fatto che nei Paesi più poveri non ci sono a disposizione nemmeno le prime dosi per avviare una campagna di vaccinazione di massa.

Lo studio su dati israeliani

Il primo Paese ad avviare la somministrazione della terza dose è stato Israele, a luglio, e uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine , sulla base dei dati del Ministero della Salute di Gerusalemme, mostra che i casi di contagio e malattia grave calano «sostanzialmente». Il tasso di infezione, 12 giorni dopo il booster, è inferiore di 11,3 volte rispetto alle due dosi, mentre il tasso di malattia grave è inferiore di 19,5 volte.

Lo studio è stato condotto dal 30 luglio al 31 agosto su 1,13 milioni di over 60 che avevano completato l’immunizzazione 5 mesi prima, divisi in due gruppi: quelli cui è stato somministrata la terza dose e quelli che ne hanno ricevute solo due. Rispetto alla variante Delta, si legge nel lavoro, la terza dose Pfizer «porterebbe l’efficacia del vaccino a circa il 95%, un valore simile al valore originale riportato contro l’Alfa».

Pfizer: «L’immunità scende dopo 6-8 mesi»

Uno studio prodotto dalla stessa Pfizer e inviato alla Fda mostra che, in 306 volontari che hanno ricevuto la terza dose, gli anticorpi sono triplicati rispetto a chi aveva ricevuto le due dosi, senza che emergessero effetti collaterali gravi. Pfizer ha ribadito che la protezione offerta dal vaccino anche senza il richiamo rimane forte nei confronti dei rischi di malattia grave. Ma, per quanto riguarda la possibilità di contrarre il Covid in maniera leggera o moderata, l’immunità scende notevolmente tra i 6-8 mesi dopo la seconda dose.

Gli anticorpi presenti dopo la terza dose avrebbero invece la capacità di prevenire l’infezione causata dalla variante Delta. Nel dossier consegnato alla Fda l’azienda farmaceutica ha incluso i dati di uno studio del consorzio sanitario Kaiser Permanente Southern California, secondo cui l’efficacia della vaccinazione piena (senza la terza dose) scenderebbe dall’88% del primo mese dopo la seconda iniezione al 47% dopo 5 mesi.

La protezione data da Moderna sembra durare a lungo

Un altro lavoro pubblicato nei giorni scorsi sul New England Journal of Medicine conferma che la terza dose di vaccino Comirnaty (Pfizer/BioNTech), dopo 8/9 mesi dalla seconda, aumenta la protezione e l’immunità contro il virus. Il gruppo di ricercatori europei e americani ha constatato come l’efficacia sia scesa all’84% dopo 4/6 mesi dalla seconda dose. Dopo un mese dalla terza dose la protezione è risultata invece aumentata di 5 volte nella fascia di età 18-55 anni e di oltre 7 volte nei 65-85enni, rispetto a quanto accaduto dopo la seconda dose.

Alcuni ricercatori del La Jolla Institute for Immunology hanno indagato sulla protezione offerta del vaccino Moderna: in un lavoro pubblicato su Science affermano che l’immunità data dal vaccino (a un dosaggio più basso di quello standard: un quarto) dura almeno 6 mesi in tutti i gruppi di età, e non ci sono indicatori della necessità di una terza dose. Secondo gli autori, il vaccino stimola una risposta immunitaria adattativa alla proteina Spike del virus quasi identica a quella che si ha con l’infezione naturale. Infine, per quanto riguarda il vaccino monodose di Johnson & Johnson, l’azienda produttrice ha fatto sapere che il richiamo a 6 mesi aumenta di 12 volte il livello di anticorpi.

Scaglione: «Non serve la corsa alla terza dose»

Molti studi sono in corso per cercare di capire quanto duri la protezione offerta dai vaccini anti-Covid. In Italia Francesco Scaglione, docente di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e farmacologo clinico all’Ospedale Niguarda, sta analizzando da diversi mesi, insieme al suo team, una coorte di tremila persone (medici e dipendenti dell’ospedale) che è stata vaccinata a gennaio. Il primo step dello studio, a 3 mesi dalla vaccinazione, verrà pubblicato sulla rivista Mayo Clinic Proceedings , ma sono pronti anche i dati a 6 mesi.

«Valutiamo il calo della risposta anticorpale tramite le IgG anti-Spike — spiega Scaglione, che è anche componente della Società italiana di farmacologia (Sif) —: abbiamo visto che, mentre a 3 mesi rimane alta, a 6 mesi si abbassa notevolmente nel 40-50% dei soggetti. Invece i guariti da Covid, che hanno ricevuto una sola dose di vaccino, mantengono mediamente la risposta anticorpale alta anche a 6 mesi, nonostante un minimo di variabilità individuale. Gli anticorpi IgG, indicativi dello status immunitario, sono più duraturi degli anticorpi IgM, che si formano subito dopo l’infezione e poi tendono a sparire. Non c’è una correlazione netta tra livello di IgG e protezione effettiva, ma sappiamo dall’esperienza empirica che la vaccinazione protegge dall’infezione o comunque dalla malattia grave. Anche in presenza di pochi anticorpi IgG, infatti, è possibile che, a contatto con il virus, si attivi una risposta immunitaria rapida grazie ai linfociti.

Parliamo di un paio di giorni, mentre per le persone che non hanno mai incontrato il virus (non vaccinate né guarite) la reazione protettiva può arrivare dopo 15 giorni o anche un mese. Un lungo periodo durante il quale, oltre ad ammalarsi, si può trasmettere l’infezione».

«Non serve la corsa alla terza dose»

Professor Scaglione, la terza dose andrebbe offerta a tutti? «In questo momento non credo serva la corsa al richiamo, anche se proteggere i fragili con il booster è giusto, per un atto precauzionale. Nel nostro studio abbiamo visto che, tra coloro che hanno ricevuto il vaccino a gennaio, solo una decina di persone su tremila si è reinfettata con sintomi lievi, senza necessità di ricovero.

Abbiamo dunque la prova che i vaccini proteggono a lungo, soprattutto dalla malattia. In ospedale, nel reparto Covid, oggi abbiamo quasi solo non vaccinati. I pochissimi vaccinati sono anziani o persone con diverse patologie pregresse, ma grazie al vaccino non rischiano la vita a causa dell’infezione. Non abbiamo prove che chi si vaccina possa ammalarsi in modo serio».

È possibile calcolare la quantità di linfociti (le cosiddette «cellule della memoria»)? «Si può, ma i test sono ancora sperimentali e non esiste una metodologia standardizzata. Tra uno e l’altro può esserci una grossa discrepanza nei risultati. È un esame operatore-dipendente, perché è fondamentale la corretta interpretazione dei dati. Inoltre ogni test costa tra i 40 e gli 80 euro. Oggi non può quindi essere eseguito in modo routinario, ma credo che nel giro di qualche mese questo strumento sarà perfezionato».

Il problema esiste anche per i sierologici? «Lì sono stati raggiunti buoni risultati, ma vale quanto detto prima: se fai il sierologico in laboratori diversi avrai risultati diversi. La cosa importante, come stiamo facendo qui a Niguarda, è valutare le oscillazioni di anticorpi nei soggetti guariti o vaccinati sempre con lo stesso tipo di test».

In arrivo vaccini a base di proteine ricombinanti

Professor Scaglione, è giusto usare i vaccini a mRna per le terze dosi? «Sì, anche se i vaccini a mRna, come anche quelli a vettore virale, hanno un piccolo difetto, cioè scatenano la risposta immunitaria lentamente — sottolinea Scaglione —. Questo perché, prima degli anticorpi, il nostro organismo deve produrre la proteina Spike del coronavirus.

Molto probabilmente nei prossimi mesi saranno disponibili dei vaccini anti-Covid classici, cioè a base di proteine ricombinanti, in grado di attivare una risposta ultra-rapida perché si salta una tappa, dato che viene immessa nel corpo direttamente la proteina Spike. I vaccini proteici potrebbero essere un’ottima arma da usare per la terza dose, ma è necessario aspettare qualche mese».

23 settembre 2021 (modifica il 23 settembre 2021 | 08:15)

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