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Saturday, July 31, 2021

Mps, Unicredit accelera. Giani: "No a trattativa senza parti sociali e territorio" - Rai News

Avviati i colloqui con il Mef

L’acquisizione potrebbe rafforzare la posizione di Unicredit soprattutto nel Centro Nord, dove Mps concentra i suoi sportelli

"Nessuna trattativa senza coinvolgere parti sociali e territorio". E' quanto afferma in una nota Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, a proposito della trattativa annunciata da Unicredit per rilevare le attività di banca Mps.

"E' una banca che ha un forte valore sociale, oltre che economico - sostiene Giani -, che sta nel rapporto secolare con il territorio di Siena e della Toscana e la notizia di una proposta di Unicredit al Tesoro per la sua acquisizione e incorporazione non può essere solo oggetto di valutazioni di mercato economico-finanziario".

"Come il Parlamento - prosegue Giani -, anche la Regione e gli enti locali coinvolti devono essere messi, con tempestività, a conoscenza degli elementi concreti di una proposta che potrebbe portare alla perdita di migliaia di posti di lavoro, di un know-how di eccellenza e di un marchio storico unico. Tutto questo in una realtà, come Siena, che è già stata duramente provata da quanto avvenuto nel corso degli anni, con operazioni etero-dirette, l'ultima delle quali fu quella, malaugurata, dell'acquisto di Antonveneta".

Il Pd chiama il ministro Franco
L'accelerazione dell'operazione Unicredit-Mps - con l'apertura delle trattative con il Mef da parte dell'istituto milanese per acquisire un perimetro della storica banca toscana - irrompe nella campagna elettorale per il seggio di Siena alle suppletive per la Camera, dove il Pd schiera il segretario Enrico Letta.

Il Pd chiede una discussione in Parlamento: "Auspichiamo che il ministro Franco venga a riferire alle commissioni competenti di Camera e Senato in ordine a eventuali operazioni riguardanti Mps, come tra l'altro previsto dall'art 1, comma 243, della Legge di Bilancio per il 2021. E' indispensabile che il Parlamento venga coinvolto nelle sue sedi opportune", dicono in una nota congiunta le presidenti dei gruppi Pd di Camera e Senato, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi.

"Riteniamo indispensabile che il governo - azionista di maggioranza di Mps - discuta in Parlamento le ragioni dell'operazione e le prospettive della banca e avvii immediatamente un confronto con le organizzazioni sindacali e le istituzioni territoriali interessate", spiegano Antonio Misiani, responsabile Economia della segreteria Pd, e Simona Bonafè, segreteria del Pd Toscana.

Anche Forza Italia non nasconde il suo disappunto: "Forza Italia è il partito che a livello locale e nazionale per primo si è occupato di questo tema, anche quando nessuno osava parlarne. E oggi Forza Italia non starà in silenzio neanche un giorno: griderà allo scandalo al fianco dei lavoratori, preoccupati per le ipotesi di esuberi che si leggono, dei sindacati, che sono stati esclusi dalle trattative, delle istituzioni locali, che allo stato attuale non sono state ascoltate a livello nazionale", dichiarano Massimo Mallegni, vice presidente dei senatori azzurri e Coordinatore regionale del partito in Toscana, Massimo Castellani, capogruppo e capo Dipartimento Banche di Forza Italia Toscana, e Lorenzo Loré, consigliere comunale e coordinatore provinciale Forza Italia Siena.

Gli fa eco il ministro della Pa, Renato Brunetta: "Mi chiedo se su Monte dei Paschi fosse questo il momento giusto da parte di Unicredit di fare questo tipo di offerta. Probabilmente no. Io sono però preoccupato soprattutto per le dimensioni economiche di questa operazione - aggiunge - che è di sistema e che tocca l'intero sistema bancario italiano".

Critici anche M5s e Lega. "La cessione delle quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena dovrebbe tener conto del principio di concorrenza, evitando che una sola banca sistemica, qual è Unicredit, possa avvantaggiarsi su tutte le altre", sottolineano i deputati pentastellati in commissione Bilancio. Mentre Matteo Salvini avverte: "Dobbiamo contrattare più tempo con l'Europa, altrimenti facciamo un regalo a Unicredit. Se il governo pensa di fare il blitz con Unicredit su Monte Paschi noi ci faremo sentire". Per il leader della Lega: "Bisogna andarci molto cauti perché ci sono in ballo 22 mila posti di lavoro, 1400 sportelli: è la banca più antica del mondo. Non si fanno regali".

La trattativa
Una nota ufficiale di Unicredit ha rotto gli indugi e annunciato l’avvio di colloqui con il Mef per  la privatizzazione del Monte dei Paschi di Siena. Unicredit ha rilanciato la possibilità di acquisizione, subordinandola a richieste ben precise.

Il Mef ha da tempo individuato in Unicredit il miglior acquirente dell’istituto senese, che necessita di altri 2,5 miliardi di euro di capitale dopo il salvataggio del 2017 costato 5,4 miliardi di euro.

Nella nota si legge che il gruppo milanese potrebbe beneficiare dell’operazione, nei piani di crescita organica e nell’ottenimento di “ritorni sostenibili superiori al costo del capitale”.

La valutazione si basa sulle potenzialità Mps in grado di fornire circa 3,9 milioni di clienti, 80 miliardi di euro di crediti alla clientela, 87 miliardi di euro di depositi della clientela, 62 miliardi di euro di masse in gestione 42 miliardi di euro di masse in amministrazione.

Inoltre, l’acquisizione potrebbe rafforzare la posizione di Unicredit soprattutto nel Centro Nord, dove Mps concentra i suoi sportelli.

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UniCredit-Mps, Giani: «Monte inghiottito, inaccettabile». Scettico anche Brunetta - Il Sole 24 ORE

I punti chiave

2' di lettura

La politica mantiene il faro acceso su UniCredit-Mps. Così come i sindacati provano a far sentire la propria voce mentre il mercato, dopo aver dato il proprio via libera al possibile asse, si interroga su come la banca guidata da Andrea Orcel intenda finanziare l’operazione.

Le reazioni politiche

Sul fronte politico, mentre Leu chiede subito un’audizione in Parlamento del ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, FDI auspica una deroga della Ue sottolineando che non debbono essere fatte scelte affrettate, la Lega mette nel mirino il ruolo dell’ex ministro Pier Carlo Padoan e FI si dichiara pronta a schierarsi con i lavoratori e con Siena se ci saranno esuberi, un messaggio fermo arriva anche da Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana. «Nessuna trattativa senza coinvolgere parti sociali e territorio», ha sottolineato il governatore che ha aggiunto: «Mps è una banca che ha un forte valore sociale, oltre che economico, che sta nel rapporto secolare con il territorio e la notizia di una proposta di UniCredit al Tesoro per la sua acquisizione e incorporazione non può essere solo oggetto di valutazioni di mercato economico-finanziario».

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«Era questo il momento di fare una proposta da parte di Unicredit? Probabilmente no. Che si aprano le segrete stanze dei cda. Se Mps deve sposarsi o fidanzarsi che se ne discuta nel Paese. E che se ne discuta anche in Cdm», è il monito lanciato anche dal ministro della Pa, Renato Brunetta.

Le incognite dell’operazione

Valutazioni, peraltro, che sono in ogni caso ancora in corso. Un punto, in particolare, è diventato oggetto di recente attenzione da parte di Piazza Affari: ossia come UniCredit intenda finanziare l’operazione. «C’è ancora poca chiarezza a proposito di come verrà finanziato l’affare», scrivono gli analisti di Bloomberg. Mossa rispetto alla quale l’unico dettaglio al momento certo è che i vertici dell’istituto di Piazza Gae Aulenti non intendono procedere con l’ acquisizione completa della banca, bensì con la selezione delle parti ritenute attrattive. A riguardo gli operatori ricordano come «la capital neutrality, gli utili e l’aumento del valore per azione siano i requisiti cruciali per UniCredit».

La reazione dei sindacati

Quanto i sindacati, il segretario generale di Unisin-Confsal, Emilio Contrasto, ha ribadito che sebbene «l’interesse di Unicredit per un’eventuale acquisizione di Banca Mps» sia «sicuramente una notizia importante» occorre «capirne chiaramente i contenuti. È infatti assolutamente necessario che sia sostenibile oltre che sul piano economico e finanziario anche socialmente: non dovrà avvenire con uno spezzatino che, per i suoi effetti, risulterebbe inevitabilmente indigesto alla clientela, ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali».

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Eco-incentivi per le auto: le domande da lunedì con la novità dell’usato - Il Messaggero Veneto

Sulla piattaforma del ministero si apre la procedura per la raccolta delle richieste. Contributi fino a 10 mila euro, previsti fondi anche per i mezzi di seconda mano

UDINE. Partono lunedì i nuovi incentivi per l’acquisto di auto ecologiche previsti dal decreto Sostegni bis.

Dal 2 agosto alle 10 sarà possibile prenotare sulla piattaforma del ministero dello Sviluppo economico (ecobonus.mise.gov.it) i bonus per l’acquisto di nuovi veicoli a basse emissioni fino a 135 grammi per chilometro CO2, con e senza rottamazione, mentre dal 5 agosto potranno essere richieste le agevolazioni per i veicoli commerciali e speciali.

Ci vorrà invece un po’ più di tempo per gli incentivi alle auto usate, novità assoluta introdotta nell’iter parlamentare del dl. Nella legge di conversione del decreto Sostegni bis il fondo automotive per l’acquisto di veicoli a basse emissioni è stato rifinanziato con 350 milioni di euro.

Rispetto al passato, spiega il Mise, la novità principale riguarda proprio lo stanziamento di 40 milioni euro dedicato alle auto usate, benzina o diesel, di classe Euro non inferiore a 6 ed emissioni fino a 160 grammi per chilometro di CO2.

Per accedere a questo incentivo, che diventerà operativo dopo le necessarie modifiche tecniche della piattaforma, sarà necessario rottamare una vettura immatricolata prima del gennaio 2011, o che abbia raggiunto i dieci anni nel periodo in cui viene richiesto l’ecobonus.

Gli stanziamenti

Più in dettaglio, oltre ai 40 milioni per l’usato, 200 milioni sono destinati all’acquisto, esclusivamente con rottamazione, dei veicoli con emissioni comprese tra 61-135 grammi per chilometro di CO2. Il contributo è di 1.500 euro. Altri 60 milioni sono stanziati per ottenere l’extrabonus e acquistare veicoli con emissioni comprese tra 0-60 grammi per chilometro di CO2. Il contributo ammonta a 2 mila euro con rottamazione e a mille senza.

Veicoli commerciali e leasing

Infine 50 milioni vanno all’acquisto di veicoli commerciali e speciali, di cui 15 milioni esclusivamente per i veicoli elettrici. Tra le novità del decreto Sostegni bis, ricorda il ministero, c’è la possibilità di acquistare con leasing finanziario, già a partire dal 25 luglio 2021, anche questa tipologia di veicoli. Restano invariati i contributi previsti dalla Legge di Bilancio 2021 e quindi prenotabili in base alla “massa totale a terra” e all’alimentazione.

I meccanismi

Per le auto nuove la procedura prevede che i rivenditori si registrino preventivamente nell’area del sito messo a punto dal Mise, prenotino i contributi relativi a ogni singolo veicolo, ottenendo, secondo la disponibilità di risorse, una ricevuta di registrazione della prenotazione. L’operazione deve essere successivamente confermata, seguendo le indicazioni della piattaforma.Il contributo è corrisposto dal venditore direttamente all’acquirente con il sistema della compensazione con il prezzo di acquisto, dal quale viene dunque tolto l’ammontare del bonus.

Le case automobilistiche o le aziende importatrici delle auto rimborsano al concessionario l’importo del contributo e lo recuperano in seconda battuta sotto forma di credito d’imposta. Per i veicoli usati, come detto, sarà necessario attendere la definizione delle procedure che cambieranno anche nella fase di gestione della richiesta sulla piattaforma.

In regione

Preso atto che, nonostante la pandemia e l’avviso di esaurimento fondi, le domande dei cittadini per il contributo rottamazione non si erano interrotte nel 2020, la Regione ha deciso di individuare ulteriori risorse (8,5 milioni) per evadere tutte le pratiche in coda. Con il risultato, come sottolineato dall’assessore regionale all’Ambiente, Fabio Scoccimarro, che sarà possibile sostituire oltre 5 mila veicoli inquinanti con altrettanti mezzi ecologici. 

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Mps, Letta: situazione difficile, Draghi può risolverla. Ma il leader non vede ricadute sulla sua corsa a... - Corriere della Sera

di Maria Teresa Meli

Il segretario del Pd: «Lavoreremo per tutelare il lavoro e il marchio»

«La situazione è difficile», confida ai collaboratori e ai parlamentari a lui più vicini Enrico Letta. Il segretario del Pd si riferisce alla vicenda del Monte dei Paschi, ma anche alla battaglia politica nel collegio di Siena in cui ha deciso di candidarsi per le suppletive che si svolgeranno questo autunno in contemporanea con le elezioni amministrative.La destra è già partita all’attacco: la Lega si sta muovendo sul territorio e a livello nazionale Maurizio Gasparri, lancia in resta, si è mosso per denunciare «i conflitti di interesse del Partito democratico».

Ma al di là dell’enfasi e della drammatizzazione, anche un po’ voluta, nessuno in casa dem (e non solo lì) ritiene che il «caso Mps» possa veramente incidere sulla campagna elettorale di Letta, facendogli perdere il collegio di Siena. Tanto che qualcuno in casa pd insinua che l’allarme sia stato lanciato e amplificato dallo stesso Nazareno.

Ciò non significa che la situazione del Monte dei Paschi e la sua possibile evoluzione non preoccupi i dem. «Quella di Mps – spiega il leader del Pd – è una situazione molto complessa che deve essere affrontata dalle istituzioni e dai partiti con serietà e non con vuoti proclami. Il Pd – e io personalmente, che del Partito democratico sono il segretario e che mi candido a rappresentare questo territorio in Parlamento con il massimo dell’impegno – ci adopereremo col governo su tre grandi priorità: tutela del lavoro, salvaguardia del marchio e unità del gruppo».

A questo punto il Nazareno chiede dunque a Daniele Franco di spiegare in Parlamento la vicenda. Letta manda avanti le due presidenti dei gruppi dem. E infatti nel tardo pomeriggio Debora Serracchiani e Simona Malpezzi sollecitano ufficialmente il ministro dell’Economia: «Auspichiamo che Franco venga a riferire alle competenti commissioni di Camera e Senato. È indispensabile che il Parlamento venga coinvolto».

Il «no allo smembramento» della banca pronunciato già l’altro ieri da Letta viene ripetuto da tutti i dirigenti dem. Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani lo fa a modo suo, senza mezzi termini: «È inaccettabile che Mps venga inghiottito da UniCredit». L’obiettivo finale dell’azione pd sponsorizzata dal segretario è anche quello di ottenere che la presenza diretta dello Stato in Mps prosegua in tutta la fase di organizzazione della banca per accompagnare tutto il processo.

Ma il caso del Monte dei Paschi di Siena non rappresenta certamente un fulmine a ciel sereno per il Pd e per il suo leader. Già a giugno, quando per la prima volta si ragionò sull’ipotesi di una candidatura di Letta nel collegio parlamentare lasciato vacante da Pier Carlo Padoan dopo che è diventato presidente del consiglio d’amministrazione di Unicredit, il problema era ben presente a tutti i dem. Tant’è che i molti pensavano che il segretario fosse titubante proprio perché sapeva che a mesi sarebbe esploso il «caso», mentre, dall’altra parte, i dirigenti del Pd senese spingevano per far scendere Letta in campo proprio nella speranza che, candidando a Siena il segretario del partito, il Monte dei Paschi fosse tutelato. Del resto, è storia nota, quella che ha unito le sorti di Mps e della sinistra Italiana (Pci prima, Pd poi).

Perciò non c’è «nessun imbarazzo» di Letta riguardo la sua candidatura alle suppletive perché sapeva benissimo che si «sarebbe legata» alla questione Mps e che la soluzione della vicenda non era rinviabile a dopo le elezioni, dato che era previsto che gli stress test della Bce uscissero comunque il 31 luglio. Stress test che Letta sapeva avrebbero evidenziato l’impossibilità di «andare avanti così».

«Ne ero conscio fin dal principio», spiega con calma il segretario del Partito democratico e aggiunge: «Io vado avanti fiducioso». Letta, peraltro, ritiene che sia interesse di tutto il governo guidare il processo verso una soluzione «non punitiva nei confronti del territorio». Una «soluzione», ripete il leader dem, che «salvaguardi l’occupazione ed eviti lo spezzatino». Comunque il segretario del Pd su questa vicenda ha «piena fiducia» nel presidente del Consiglio Mario Draghi: «Se c’è uno che ha competenza e autorevolezza per guidare un percorso simile quello è lui», sottolinea con forza Letta.

31 luglio 2021 (modifica il 31 luglio 2021 | 22:39)

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Banche italiane promosse nello stress test Eba, ma Mps è la peggiore nell'Ue - AGI - Agenzia Italia

AGI - Intesa Sanpaolo è stata 'promossa' agli stress test dell'Eba, così come Unicredit, Banco Bpm e Mediobanca, mentre il Monte dei Paschi è risultata la peggiore tra le 50 banche europee esaminate nell'esercizio dell'autorità. In particolare Intesa Sanpaolo, nello scenario avverso, vedrebbe il proprio Cet1 scendere al 10,06% a fine 2021, al 9,66% a fine 2022 e al 9,38% a fine 2023. Mediobanca sarebbe, fra gli istituti italiani, quella a mantenere il coefficiente più alto anche in caso di shock economici: a regime, al 2023, sarebbe pari al 9,73% nello scenario avverso. Sempre nella stessa situazione quello di Unicredit si attesterebbe al 9,22%. Peggiore il risultato di Banco Bpm: il Cet1 dell'istituto scenderebbe dal 13,23% di fine 2020 al 7,01% di fine 2023. Per Mps al 2023 il Cet1 sarebbe addirittura negativo, a -0,1%.

Nel complesso, l'impatto di uno scenario "molto avverso" porterebbe le 50 maggiori banche europee a bruciare 265 miliardi di capitale in un triennio. Anche in questo caso, tuttavia, segnala l'Eba, gli istituti manterrebbero un Cet1 superiore al 10%. Lo stress test di quest'anno è caratterizzato da uno scenario avverso che presuppone uno scenario di Covid-19 prolungato in un contesto di tassi di interesse "più bassi per più a lungo", ricorda l'Eba. Nel dettaglio, la simulazione prevede un calo cumulato del pil sull'orizzonte triennale del 3,6% nell'Ue, e un calo cumulato negativo del pil di ogni Stato membro. In questo contesto il sistema bancario dell'Ue nel suo insieme vedrebbe il suo Cet1 ridotto di 485 bps su base fully loaded (497 bps su base transitoria) dopo tre anni, pur rimanendo al di sopra del 10% in media.

I principali fattori di rischio che impatterebbero sul patrimonio delle banche sarebbero perdite su rischi di credito per 308 miliardi di euro (pari a -423 punti base di Cet1), perdite da rischio di mercato, incluso il rischio di credito di controparte, per 74 miliardi di euro (-102 punti base) e perdite da rischio operativo per 49 miliardi di euro (-68 punti base).  In questa occasione lo stress test Eba non aveva uno scenario di 'pass/fail' con soglie definite, ma era comunque pensato per fornire un input importante per la valutazione delle banche secondo il pilastro da parte delle loro autorità di vigilanza. "I risultati dello stress test aiuteranno le autorità competenti a valutare la capacità delle banche di soddisfare i requisiti prudenziali applicabili nello scenario di stress e costituiranno un solido terreno di discussione tra l'autorità di vigilanza e le singole banche sui loro piani patrimoniali e di distribuzione, nel contesto della normale ciclo di vigilanza", osserva l'Eba.

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Mps, resa del Tesoro alle condizioni di Unicredit: Orcel si prende 80 miliardi di crediti e lascia al Mef… - Il Fatto Quotidiano

L’amarissima vicenda Mps finirà, nonostante un estenuante balletto durato mesi, come tutti si aspettavano dovesse finire. Ma anche nel modo peggiore per lo Stato e i contribuenti italiani. La resa del Tesoro alle condizioni diktat poste dall’ad di UniCredit, Andrea Orcel, sarà totale. Il gruppo di piazza Gae Aulenti si prenderà, con ogni probabilità e senza colpo ferire, il buono che ancora c’è di Mps, lasciando le ceneri del decennio tragico della banca senese al Tesoro italiano. Ceneri pesantissime.

Orcel vuole mano libera sulla rete commerciale della banca, senza accollarsi alcunché. Né lo strascico delle cause legali, che valgono oggi 6 miliardi di euro, dopo che la banca ha transato per 150 milioni la grottesca richiesta danni della Fondazione da 3,8 miliardi. Né tanto meno la spazzatura dei crediti malati che ancora giacciono nei bilanci della banca. A fine 2020 i crediti deteriorati lordi di Mps valevano 4 miliardi. Tutti rispediti al mittente, cioè il Mef che possiede il 64% della banca. Finiranno in pancia ad Amco, la società che si occupa di Npl posseduta al 100% dallo stesso Tesoro che li acquisterà per 2 miliardi cercando nel tempo di recuperare il più possibile. Non solo, ma Orcel ha fatto chiaramente capire che non è interessato agli sportelli nel Sud Italia, dato che è già presente con l’ex Banco di Sicilia. Rete che finirà nelle mani di Mediocredito centrale, altra partecipata pubblica che si accollerà la parte debole della rete di Mps. A conti fatti la bolletta per i contribuenti italiani finirà per salire nell’intorno dei 10 miliardi, dopo che il Tesoro ha già visto bruciare oltre 4 miliardi di valore della sua partecipazione nella banca. Conto salatissimo, quindi. In fondo va in scena su larga scala il vecchio principio di “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”.

D’altronde il passaggio era di fatto obbligato. Negli anni, da quando il Tesoro nel 2017 si è dovuto accollare le sorti della banca toscana, nessun compratore vero si è mai fatto avanti. E l’accordo con l’Europa era vincolante: fuori lo Stato dal capitale entro quest’anno. Una condizione che ha visto il Tesoro, obbligato a vendere, partire con l’handicap e con il coltello dalla parte del manico per i possibili compratori. Coltello che UniCredit ha brandito con astuzia facendo bollire a fuoco lento il Tesoro e imponendo condizioni draconiane. Per UniCredit prendere la ciliegina dalla torta malandata di Mps vuol dire recuperare il terreno perso negli anni con Intesa. Gli 80 miliardi di prestiti, un attivo di 150 miliardi e i depositi vogliono dire conquistare senza oneri il 4% del mercato bancario, togliendo di mezzo un concorrente. E senza più rettifiche sui crediti malati, vuol dire portarsi a casa utili dalla gestione operativa assicurati. Cosa c’è di meglio? In fondo si replica il modello Intesa con le banche venete. La parte buona alla banca, le macerie al pubblico.

Il flop della gestione pubblica – Ma se UniCredit ovviamente festeggia il colpaccio, resta sullo sfondo il drammatico flop della gestione del Tesoro negli ultimi 4 anni che ha irrimediabilmente spalancato la porta a quelle che oggi è di fatto una grande svendita. I numeri sono disastrosi. Si è badato a pulire la banca dal macigno delle sofferenze che, a fine del 2017, pesavano per oltre il 16% (quelle nette) degli impieghi. La pulizia con le cessioni dei crediti malati è andata alla fine in porto. Certo non senza sacrifici dato che quelle cessioni hanno comportato perdite per quasi 5 miliardi di euro dal 2017 a fine 2020.

Ma nulla è stato fatto sulla gestione operativa della banca. Anzi. Sotto la gestione pubblica, infatti, la banca senese ha perso per strada la bellezza di 1,1 miliardi di ricavi. Nel 2017 Mps chiuse il bilancio con 4 miliardi di ricavi; a fine 2020 i ricavi si sono fermati a solo 2,9 miliardi. Perdere quasi il 30% delle entrate è un record assoluto nell’intero sistema bancario italiano. Nessuna banca ha visto declinare così potentemente la sua capacità di fare incassi. Quel taglio secco di quasi il 30% è più del doppio della media del declino dei ricavi delle altre banche italiane. Il rapporto tra costi e ricavi che era già alto nel 2017, pari al 63%, è salito al 75% di fine 2020. Le continue perdite hanno visto il capitale della banca scendere dai 10,4 miliardi di 4 anni fa ai 5,7 miliardi dello scorso anno.

La gestione da parte dei vertici dell’istituto, prima con il duo Bariatti/Morelli, poi con Grieco e Bastianini, non è riuscita a risollevare l’agonia decennale della banca toscana. E che il fallimento sia totale lo dice quel piano industriale 2017-2021, predisposto all’epoca, e che stimava per il 2021 ricavi della banca a 4,3 miliardi, un utile netto addirittura di 1,2 miliardi e un ritorno sul capitale del 10%. Il 2020 si è chiuso lontano anni luce: ricavi a 2,9 miliardi, perdita di 1,69 miliardi e Roe sottozero. E il nuovo piano 2021-2025, redatto in chiave stand alone, non è certo un esempio fulgido di ripartenza. Intanto prevede per il 2021 di chiudere ancora in perdita per oltre mezzo miliardo. Con il primo utile significativo solo nel 2023 e con un Roe solo del 3,7%, ben lontano dal miraggio del 10% del vecchio piano. E i ricavi che dovevano arrivare nel 2021 a 4,3 miliardi nel vecchio piano si fermeranno, se tutto andrà per il meglio, a solo 3,2 miliardi ma per questo occorrerà attendere il 2025. Con queste prospettive e dopo aver completamente fallito il primo piano del rilancio pubblico, ben si comprende come l’appetibilità della banca per un eventuale compratore si sia negli anni ridotta a zero.

I “danni” della Fondazione – Non solo ma un intralcio bello e buono ha finito per metterlo anche la Fondazione Mps che nell’agosto del 2020, con dieci anni di ritardo, ha chiesto danni per 3,8 miliardi per l’acquisizione di AntonVeneta e gli aumenti di capitale successivi. Una richiesta quanto meno opportunistica se non grottesca, dato che la Fondazione aveva all’epoca dei fatti non solo il controllo maggioritario della banca, ma ha sempre avallato le scelte di Mussari e compagnia. Una tesi poco credibile, tanto che si è giunti pochi giorni fa a una transazione per soli 150 milioni della causa monstre, a riprova della pretestuosità della causa. Nel frattempo però il macigno del danno ha contribuito ad allontanare ancor più eventuali compratori.

Alla fine, se tutto procederà come prevedibile, la storia di Mps si chiuderà definitivamente. E racconterà che pur di non far saltare quella che era la terza banca del Paese, si è compiuto uno dei più grandi falò di risorse pubbliche del Paese. Trasferendo gratis, depositi e impieghi e quote di mercato alla seconda banca del Paese. E accollando alle finanze pubbliche la zavorra plurimiliardaria di un decennio di ecatombe senese. Una pagina nera per il Tesoro italiano.

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Pil, sorpresa nel secondo trimestre: +2,7%. Ma sarà difficile tenere il ritmo per tutto il 2021 - Corriere della Sera

Partiamo dalla sorpresa: la stima preliminare del Pil del secondo trimestre ‘21, secondo gli analisti, avrebbe dovuto aggirarsi attorno a +1,3% rispetto al trimestre precedente e invece il riscontro ufficiale dell’Istat è più del doppio: +2,7%. In Europa siamo dietro al Portogallo e solo di un decimale alla Spagna ma nettamente davanti ai Paesi nostri partner privilegiati come Germania (+1,5%) e Francia (+0,9%). Ci sarà tempo per indagare il motivo della sorpresa, probabilmente il ciclo ravvicinato delle aperture/chiusure causa virus determina variazioni molto rapide oppure, tesi più radicale, i modelli econometrici di cui si servono gli analisti sono terribilmente invecchiati.

Il lavoro in crescita

In attesa di capirne di più registriamo nella stessa giornata un altro dato estremamente positivo: nel mese di giugno rispetto a maggio l’occupazione è cresciuta di ben 166 mila unità (+0,7%) e il tasso di occupazione è salito al 57,9%. Sono diminuite le persone in cerca di lavoro e anche gli inattivi. Buono il trend dell’occupazione giovanile e femminile rispetto ai mesi della pandemia e complessivamente il danno causato dall’infezione al mercato del lavoro italiano è sceso statisticamente a 470 mila posti di lavoro.

Spiazzati gli analisti

Prima di applaudire però dovremo capire meglio quanto i dati di giugno siano influenzati dalle nuove metriche Eurostat, che sono influenzate dalla riduzione delle casse integrazioni a zero ore. Per sintetizzare si può dire che c’era la sensazione che il secondo trimestre avesse rimesso in moto i servizi (l’industria in fondo non si è mai fermata) ma le proporzioni dell’incremento hanno spiazzato gli analisti. A dimostrazione di come basti, per un’economia aperta come la nostra, riaprire anche parzialmente i flussi turistici per registrarne subito gli effetti positivi sul Pil. La seconda considerazione riguarda le agevolazioni per l’edilizia che, anch’esse, creano subito input positivi a monte e a valle delle ditte strettamente incaricate dei lavori. Una citazione la merita anche l’export che si riconferma come negli anni Dieci un pilastro della nostra economia, anche in condizioni obiettivamente più difficili per la tenuta del commercio internazionale.

Verso un 2021 in rialzo del 5-6%

Per effetto di un incremento del Pil già acquisito del 4,8% le stime per il risultato complessivo del 2021 probabilmente dovranno essere riviste al rialzo in un territorio che potrebbe situarsi tra il +5 e il +6%. Tutto positivo, dunque, se sul futuro del Pil italiano non pendesse purtroppo la variante Delta e il tipo di restrizioni che le autorità potrebbero essere costrette a varare. E infatti pur davanti all’ottimismo varrà la pena introdurre qualche caveat, come del resto già le prime analisi di ieri di Intesa Sanpaolo e di Ref Ricerche ne contenevano.

I timori

Nella sostanza si pensa che difficilmente performance come quella del secondo trimestre possano ripetersi nei successivi, almeno nelle stesse proporzioni. E non solo per colpa del virus. La crescita per ora sembra influenzata significativamente dai generosi ecobonus governativi (in un semestre hanno generato 24 mila interventi di ristrutturazione per un valore di 3,5 miliardi) che rafforzano di nuovo la componente immobiliare del funzionamento della nostra economia reale e, siccome non si hanno segnali che le famiglie abbiano rivisto la tendenza a parcheggiare i risparmi in banca, è possibile che questi ultimi altro non siano che degli accantonamenti da spendere in un secondo tempo. Per avere case più confortevoli o più adatte al lavoro da remoto. Nel secondo semestre dovrebbe cominciare poi a dispiegarsi “la potenza di fuoco” degli investimenti pubblici legati al Pnrr. Ma anche in questo caso un paio di domande si impongono: che interazione si stabilirà tra di essi e un modello industriale centrato sulla forte specializzazione produttiva e l’export? E quegli investimenti pubblici riusciranno, con la burocrazia che abbiamo, a scaricarsi a terra in tempi ragionevoli?

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Assicurazioni sanitarie, cicli di radioterapia autorizzati una seduta alla volta e asportazioni di sospetti… - Il Fatto Quotidiano

“Se escludiamo che la ragione di questo sia l’incapacità di operatori e consulenti Rbm, resta un’unica ipotesi: tutto ciò fa capo ad un’azione congiunta per prevaricare l’iscritto, assillarlo con ogni mezzo e con il solo unico obiettivo di indurlo a rinunciare al rimborso. In breve: fare di tutto per non pagare”. Lo sfogo di un consumatore cliente di Intesa Sanpaolo Rbm Salute sintetizza efficacemente quanto denunciato da Altroconsumo all’Antitrust, che a sua volta ha comminato alla compagnia assicurativa sanitaria del primo gruppo bancario italiano una sanzione di 5 milioni di euro per pratiche commerciali scorrette, mentre al fornitore di Rbm, il provider Previmedical, è stato chiesto 1 milione di euro.

Variegati gli esempi citati nel provvedimento del Garante della concorrenza a carico della compagnia che oggi si definisce “l’Assicurazione Salute che mette la Persona al Centro“. Il più classico è quello delle spese dentistiche, categoria già di suo piuttosto spinosa da farsi rimborsare. Ebbene, un assicurato di Rbm riferisce che per una pratica relativa a un intervento odontoiatrico aperta il 15 dicembre 2020, prima gli è stato richiesto di integrare la prescrizione medica, poi un referto radiografico, da ultimo una correzione della fattura. Nonostante abbia completato tutto il percorso a ostacoli, la pratica di rimborso alla fine è stata respinta con la motivazione generica che l’integrazione non sarebbe stata effettuata correttamente.

Un altro cliente ha riferito che una richiesta di autorizzazione del 27 gennaio 2021 per eseguire un impianto dentario ha avuto come risposta una richiesta di integrazione documentale arrivata il successivo 19 febbraio, lo stesso giorno fissato per l’intervento, per di più 15 minuti dopo l’orario dell’appuntamento. Per tale motivo, ha ritenuto “evidente la volontà dell’assicurazione di procrastinare il più possibile la lavorazione della pratica al fine di impedire l’effettuazione della prestazione nei tempi concordati con il medico”.

A un altro assicurato è stato richiesto invece di integrare la documentazione con un “certificato, emesso da medico specialista, che attesti la data di applicazione e di rimozione del tutore/gesso”. Peccato che il consumatore avesse subito un intervento chirurgico di rimozione di un carcinoma maligno da un rene, che non può prevedere l’applicazione di un tutore/gesso. A un consumatore, poi, è stato richiesto il referto del pronto soccorso per una lesione che derivava da una degenerazione strutturale dell’articolazione e non da un trauma, come per altro testimoniava la documentazione allegata.

Nella sfilata delle risposte fuori luogo, non può mancare il caso del respingimento del rimborso relativo a un tampone per Covid-19 con la motivazione che “il termine per la ripresentazione delle spese sanitarie di competenza 2019 è scaduto il 30 giugno 2020”, di fronte alla quale il consumatore si chiede se Previmedical sia a conoscenza del fatto che i tamponi in questione sono stati realizzati a partire dalla seconda metà del 2020.

Non resta fuori neanche l‘oncologia. Ad altri altri due assicurati, per esempio, il rimborso è stato negato opponendo una “finalità estetica” delle prestazioni richieste. Una era l’asportazione chirurgica – a seguito di visita specialistica ed epiluminescenza – di nei atipici in paziente con familiarità per il melanoma e l’altra era un intervento chirurgico di sostituzione di protesi mammaria per rottura accidentale conseguente a trauma (certificato dal medico).

Sempre sul ramo oncologico, ma nel filone delle prestazioni a voucher preautorizzati, i reclami degli assicurati – un terzo dei clienti della compagnia di Intesa sono gli iscritti del fondo sanitario dei metalmeccanici Metasalute – lamentano le difficoltà incontrate per farsi autorizzare prestazioni che prevedono cicli di più sedute. Quindi fisioterapia, ma anche radioterapia, per le quali è necessario inserire una richiesta per ogni seduta.

Per quanto riguarda gli assicurati, “nel caso di un ciclo di radioterapia prescritto a un malato oncologico, Previmedical ha autorizzato solo la prima seduta, subordinando le successive alla conferma di volta in volta allo stesso professionista della presenza del paziente da parte della struttura ospedaliera
e alla contestuale comunicazione telefonica da parte del paziente della data di successiva seduta (quella del giorno seguente)”, spiega il Garante. Una procedura talmente ostica che l’Istituto Europeo di Oncologia si è rifiutato di seguirla.

La replica della compagnia è stata che la scelta “sarebbe dovuta alla circostanza che i cicli di cura possano avere una durata eccedente la vigenza della polizza, con conseguente necessità di verificare che, nel momento in cui la prestazione viene effettuata, la polizza sia attiva e il premio regolarmente pagato“. La ricostruzione, commenta ancora l’Antitrust, “è smentita dalla documentazione acquisita in sede ispettiva, da cui emerge che ISP RBM ha dato indicazioni al Provider di autorizzare tali terapie per seduta e non per ciclo di cura per effettuare un più efficace controllo della spesa. Il controllo della spesa, così come realizzato, ha avuto ripercussioni negative sulla continuità delle prestazioni, al di là di ogni legittimo criterio di contenimento dei costi. Gli assicurati che si sottopongono a cicli di radioterapia o di fisioterapia lamentavano che “con il sistema di conferma dei voucher singoli [è] molto difficile/impossibile rispettare le prescrizioni mediche” in quanto, una volta effettuata la prima seduta, erano costretti a comunicare a Previmedical la data di successiva seduta (spesso quella del giorno seguente) affrontando anche le difficoltà di contattare la centrale operativa” della compagnia.

Che alla fine deve aver capito l’antifona, se nel maggio del 2021 ha modificato la prassi consentendo un’unica autorizzazione per l’intero ciclo di cure. La consapevolezza che qualcosa non andasse come doveva, del resto, è serpeggiata anche prima se, come si legge in un verbale ispettivo, un manager della compagnia il 17 marzo 2020 ha esortato i liquidatori a “verificare nel merito la documentazione allegata alle domande di rimborso e soprattutto alle pec perché un diniego reiterato, non suffragato da prove o valide argomentazioni e sconfessato da una semplice lettura del contratto e della documentazione inviataci, espone la compagnia a un rischio reputazionale non di poco conto”.

Parole sante, non tanto perché sotto accusa è finita la compagnia della banca di sistema per definizione, che in seguito al provvedimento ha precisato in una nota che le contestazioni “si riferiscono principalmente al periodo luglio 2018 – luglio 2020, antecedente all’acquisizione di Rbm Salute da parte di Intesa Sanpaolo Vita, concretizzatasi l’11 maggio 2020 con la nascita di Intesa Sanpaolo Rbm Salute”. E ha sottolineato come l’indice dei reclami Ivass di Intesa Sanpaolo Rbm Salute sia passato dai 12,94 reclami ogni 10.000 contratti del dicembre 2018, ai 3,94 reclami ogni 10.000 contratti del giugno 2021.

Quello che viene danneggiato dalla vicenda, tuttavia, è soprattutto l’intensa attività di lobby che da almeno un decennio le compagnie assicurative stanno conducendo per riuscire a integrare il sistema sanitario con le loro polizze, costituendo il cosiddetto terzo pilastro della sanità che nel libro dei sogni della politica che va a braccetto con le assicurazioni, dovrebbe dare il contributo fondamentale per ristabilire i diritti alla salute di tutti i cittadini. Ovviamente dopo quello dei fondi di categoria, il secondo pilastro, che a loro volta si affidano alle assicurazioni private per la tutela della salute dei propri iscritti. Come appunto Metasalute che rappresenta da solo un terzo della clientela di Intesa Sanpaolo Rbm.

Il tema è ovviamente caro anche a Rbm il cui amministratore delegato Marco Vecchietti ha recentemente dichiarato che “una delle lezioni importanti che ci ha fornito la pandemia è che per risolvere la maggior parte delle problematiche indotte da questa emergenza, che possono verificarsi peraltro anche in situazioni di maggior pressione sul sistema sanitario diverse da questa, si dovrebbe assegnare alla Sanità Integrativa un ruolo “istituzionale” di affiancamento del Servizio Sanitario Nazionale”. Secondo il manager che guida Rbm da prima dell’arrivo di Intesa, “le polizze integrative, infatti, portano all’interno del Sistema Sanitario un doppio livello di protezione per i cittadini: non solo un supporto economico per sostenere i costi delle cure a proprio carico, ma anche la garanzia di accesso personalizzato a una rete di strutture convenzionate e a produttori/fornitori di beni e mezzi sanitari di approvvigionamento ulteriori rispetto a quelli del Servizio Sanitario Nazionale”.

Rbm nel 2020 ha incassato circa 495,3 milioni di euro in premi per un utile d’esercizio di quasi 61 milioni di euro, l’anno scorso era “tra le imprese con il peggiore indicatore nella classifica reclami per il ramo danni (escluso RC auto)”, come sottolinea l’Antitrust.

Non ha certo giovato alla situazione, infine, il fatto che la compagnia abbia opposto all’Authority di non avere rapporti economici con il consumatore tutelati dal Codice del Consumo, visto che il contratto è stipulato con aziende o fondi sanitari. Isp Rbm, replica il Garante, “instaura comunque con l’utente una relazione di carattere economico tutelata dal Codice del Consumo. Il consumatore, infatti, anche se terzo rispetto al contratto tra fondi sanitari e professionista, è il soggetto il cui interesse costituisce la causa dello stesso rapporto negoziale. L’intervento del fondo sanitario nell’acquisto dei servizi assicurativi della Compagnia non è quindi idoneo a escludere l’applicazione della normativa sulle pratiche commerciali scorrette tenuto conto che il destinatario finale di tale rapporto e l’utilizzatore del servizio è pur sempre il consumatore”.

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Mps, allo Stato una quota di UniCredit in cambio della nuova dote - Il Sole 24 ORE

I punti chiave

3' di lettura

Dal punto di vista del governo, come sanno bene due ex banchieri come Mario Draghi e Daniele Franco, chiudere una volta per tutte la partita Mps non ha prezzo. Ma un costo, il salvataggio dell’istituto più antico del mondo, ce l’ha da tempo. E più passano gli anni più cresce, in una spirale che ricorda per certi aspetti quella Alitalia ma con l’aggravante di un settore, quello del credito, che ha sempre in serbo qualche brutta sorpresa o qualche imprevisto.

Così si spiega il sollievo che trapelava da Via XX Settembre, nell’attesa di definire lo schema, il perimetro e il valore di un’operazione di cui per ora si sono gettate solo le basi ma che può segnare la tanto attesa (anche dall’Europa) discontinuità nella storia della banca e del suo azionista di controllo.

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40 giorni di trattativa

I conti, sia dal lato di UniCredit che del Tesoro, si faranno tra 40 giorni, alla fine della trattativa ufficialmente avviata giovedì sera. Ma la direzione è ormai chiara ed è stata fotografata ieri dal mercato: per Piazza Gae Aulenti c’è un guadagno assicurato (non a caso in Borsa ha messo a segno un balzo record), per il Monte uno possibile (anche se sarà determinante lo schema del’operazione), a mettere in sicurezza l’architettura del salvataggio ci penserà il Tesoro. Che già nel 2017, per approdare all’attuale assetto, aveva messo sul tavolo 5,4 miliardi, di cui 3,9 per la quota del 64,2% che ai prezzi di ieri di Borsa vale circa 700 milioni. Quattro anni dopo, per dare Mps in sposa a UniCredit, ecco una nuova dote miliardaria. Le Dta, i crediti d’imposta computabili a capitale, ammonteranno a oltre 2 miliardi, beneficio immediato per UniCredit che, fanno notare dal Tesoro, si accompagna a quello di lungo periodo per lo Stato, che non vedrà riconoscersi crediti fiscali ben superiori. Ci sono poi i 2 miliardi (di cui 1,5 ufficialmente a carico del Mef) di aumento di capitale, sancito dagli stress test di ieri, che l’azionista pubblico avrebbe comunque dovuto versare, anche - e soprattutto - in caso di prospettiva stand alone. Poi gli oneri per la gestione delle uscite volontarie, alcune migliaia, e infine le cause legali e gli Npl, pezzi del Monte che UniCredit ha già dichiarato di non volere e che dunque resteranno in capo agli attuali azionisti della banca, in primis al Mef.

Oneri tra i 5 e i 10 miliardi

La somma degli oneri per Via XX Settembre, si diceva, non si può ancora calcolare. Ma spazierà in una cifra che oscilla tra i 5 e i 10 miliardi di euro, compresi gli interventi del 2017, un maxi paracadute che al Tesoro rifiutano di considerare un “regalo” a UniCredit visto che buona parte delle spese andavano comunque coperte per mantenere in piedi la banca o gestire altri scenari considerati più crudeli.

Al Mef una quota di Unicredit

Oltre a ciò che Andrea Orcel si rifiuterà di rilevare, è probabile che Via XX Settembre si ritroverà con una quota di UniCredit. Un pacchetto oggetto di negoziazione con la banca, che prenderà forma nel caso in cui si opterà per lo schema ritenuto più agevole, ovvero la scissione non proporzionale di Mps in due diverse newco, una destinata a confluire in UniCredit e l’altra a restare autonoma, salvo poi destinare a terzi gli Npl (la via maestra porta ad Amco) e il contenzioso (maggior indiziato è Fintecna). Più fonti vicine al dossier facevano notare che al Tesoro potrebbe arrivare una quota vicina al 4-5%, in cambio del conferimento della propria quota nella Mps “buona”. Un pacchetto robusto ma ininfluente sugli equilibri dell’azionariato o sulla governance. E una specie di rimborso per gli oneri affrontati in questi anni nell’auspicio che - nel caso in cui la cura Orcel debba funzionare - possa anche rivalutarsi.

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Tivusat in tutta la casa e "ciaone" al digitale terrestre: si può fare. Ecco come. - DDay.it - Digital Day

E se questo benedetto digitale terrestre ci avesse stufato? In fondo, con il rinvio ulteriore dello switch-off, le trasmissioni terrestri non potranno che degradare ulteriormente di qualità: altro che 4K, sul digitale terrestre si va verso una situazione con tanta standard definition e bitrate forzatamente bassi. Insomma una TV a "quadrettoni" che gli attuali televisori 4K a grandissimo schermo davvero non si meritano.

Perché tivusat è una soluzione

Più volte abbiamo raccontato su queste pagine come, ricorrendo a Tivusat (la piattaforma satellitare italiana gratuita), sia possibile chiamarsi fuori da tutta la querelle attorno al digitale terrestre e al passaggio, più o meno remoto, al DVB-T2. Via Tivusat si ricevono - tutti gratuiti - i canali nazionali del digitale terrestre; ben 6 canali in 4k (zero su digitale terrestre), tra cui Rai 4k e la bellissima Nasa TV 4K: e poi ben 60 canali in HD (9 su digitale terrestre); infine, tutti i 23 TG Regionali RAI. Un'offerta che per qualità e quantità il digitale terrestre non offre e, con le attuali premesse, probabilmente non offrirà mai.

Ecco la lista dei canali gratuiti 4k (i primi 6 con sfondo bianco) e HD compresi nell'offerta tivusat

Certo, serve una parabola e la distribuzione del segnale satellitare, oltre che un apparato di ricezione per ogni schermo, ovverosia un TV compatibile o un decoder tivusat esterno. Ma ci sono diverse soluzioni interessanti, e non così conosciute, che possono semplificare la vita e soprattutto rendere possibile la distribuzione del segnale sat a tutti i TV di casa e non solo a quello principale. Ne abbiamo parlato con i tecnici di Auriga, primario distributore di apparati per la ricezione televisiva.

Distribuire il segnale in tutta la casa è molto più facile di prima: gli standard "single cable"

Partiamo apparentemente dalla fine, la distribuzione del segnale a tutti i TV di casa. Negli impianti satellitari tradizionali, dall'illuminatore della parabola escono quattro cavi, che generalmente costituiscono il montante dell'impianto: le due polarità orizzontale e verticale e le bande alta e bassa. Questi cavi entrano (e se necessario escono e proseguono) in un cosiddetto "multiswitch", generalmente a livello di piano, un apparato attivo dal quale parte un cavo per ogni punto di antenna satellitare: sarà il multiswitch a mandare al decoder o al TV le bande corrette a seconda della richiesta del tuner sat.

Da qualche anno, però, ci sono soluzioni anche più semplici, soprattutto per la distribuzione all'interno di casa. Esistono, infatti, degli standard di codifica del segnale su singolo cavo che permettono di collegare più decoder o TV contemporaneamente alla medesima connessione, cosa che prima non si poteva fare: si tratta del sistema SCR (Satellite Channel Router) o del più moderno ed evoluto dCSS (Digital Channel Stacking System).

Ruggiero Digiorgio, product manager di Auriga

"In poche parole - ci spiega Ruggiero Digiorgio, product manager di Auriga - è come poter disporre di una sorta di protocollo a indirizzi: ogni ricevitore ne ha uno riservato e in SCR possono conviverne quattro indipendenti sullo stesso cavo; dCSS è più evoluto ed, oltre a essere retrocompatibile con SCR, può gestire altri 12 segnali sempre sullo stesso cavo".

Questo vuol anche dire che apparecchi compatibili con SCR possono convivere con quelli pronti al più evoluto dCSS sul medesimo impianto.

Uno degli usi di questi standard è per esempio finalizzato a permettere a un decoder di sintonizzare più canali sat contemporaneamente: è quello che accade con Sky Q satellitare, che, proprio grazie a dCSS, con un singolo cavo alimenta i suoi 12 tuner sat integrati che servono per catturare i segnali che servono per alimentare tutti i Q Mini distribuiti in casa e per le attività di registrazione. E questo è il motivo per il quale, normalmente, il tecnico Sky installa un convertitore dCSS nella scatola di piano dell'antenna (se l'impianto è condominiale) prelevando il segnale proprio dai 4 montanti citati prima.

Un esempio di un multiswitch dCSS-SCR

Ma il dCSS (o per lo meno l'SCR) può essere usato proprio per distribuire con facilità il segnale sat in casa, volendo anche ricovertendo al satellite l'impianto di antenna terrestre: "Quello che tanti non sanno - ci spiega Digiorgio - è che un cavo di antenna terrestre, se sufficientemente recente, ha una banda passante adeguata a trasportare anche il segnale satellitare. Se a monte si posiziona un multiswitch dCSS, è possibile usare la predisposizione esistente in casa per l'antenna terrestre per portare in ogni stanza il completo segnale satellitare". Ovviamente sarà poi necessario avere decoder o TV che gestiscano lo standard dCSS o per lo meno quello SCR: fino a quattro SCR possono convivere sullo stesso cavo.  Non solo: se serve in una postazione avere più di un'uscita (per esempio, per un TV e un decoder), basterà splittare il segnale con un partitore passivo (che però faccia passare la corrente necessaria per il controllo dello standard di comunicazione) ed il gioco è fatto.

Cosa serve per sintonizzare tivusat sui TV di casa?

OK, ammettiamo di aver portato così il segnale sat a tutte le TV di casa. Ma ora cosa serve? Le trasmissioni tivusat sono sì gratuite, ma per motivi di diritti, limitati al territorio italiano, sono criptate e per decodificarle serve un decoder tivusat (che già contiene l'apposita card) o un una CAM tivusat, cioè il modulo da inserire direttamente nei TV compatibili. Oramai, va detto, la stragrande maggioranza dei TV venduti in Italia, almeno quelli di dimensione medio grande, dispongono di tuner satellitari e molti di essi sono certificati tivusat (per la lista intera, consultare questa pagina).

In presenza di un TV compatibile, ovviamente la soluzione più semplice è quella di comprare una CAM (costa circa 100 euro), che contiene la relativa card e inserirla nel TV. A quel punto il TV è in grado di sintonizzare nativamente tutti i canali tivusat, memorizzandoli automaticamente in una lista numerata in modo da essere facilmente navigabile. Si usa quindi il telecomando del solo TV, proprio come si fa con il digitale terrestre, ma con il vantaggio di avere più canali e soprattutto più qualità.

Se il TV non dovesse essere compatibile con tivusat, magari perché un po' datato, bisogna ricorrere a un decoder esterno: "Non è un grosso problema - ci dice Digiorgio -: noi per esempio distribuiamo il decoder tivusat Diprogress DPS102TV che è compatibile dCSS. Sullo stesso cavo se ne possono collegare fino a 16 (se l'impianto è dCSS, ovviamente, ndr)".

Anche per quello che riguarda i TV, ci sono alcuni modelli, tra quelli con il tuner sat, compatibili con il protocollo dCSS: per sincerarsene bisogna verificare sulle specifiche tecniche. La maggior parte dei TV con tuner sat è comunque compatibile almeno con lo standard SCR, anche se fare la corretta configurazione può comportare qualche grattacapo, soprattutto sugli apparecchi più datati, per una certa disuniformità dei termini usati nei diversi menù. 

E la parabola? Non bisogna per forza avere il "padellone"

Sono in tanti ad avere già accesso a un segnale sat, o condominiale o grazie a una parabola propria posta sul balcone o sul tetto. In fondo il satellite che trasmette i canali del bouquet di tivusat è HotBird, lo stesso utilizzato da Sky Italia e non è così infrequente che l'abitazione sia già servita da questo segnale. 

Se invece la parabola non c'è, va ovviamente installata. Nei casi in cui l'installazione di una parabola tradizionale fosse possibile, questa è sempre la soluzione da preferire, soprattutto per una ragione di costi: i prezzi di una parabola tradizionale da 60 cm, che va bene per ricevere tivusat, costa poche decine di euro e l'installazione, sempreché non ci siano giri clamorosi da fare con i cablaggi, è tutt'altro che proibitiva. 

Ma se non si ha la parabola? O se non si vuole intaccare l'estetica della casa con una parabola? "Ci sono soluzioni - ci racconta Digiorgio di Auriga - anche per chi le parabole proprio non le sopporta dal punto di vista estetico. Per esempio con le antenne sat piatte. Noi distribuiamo le Selfsat, dei parallelepipedi bianchi 57 x 30 cm, spessi meno di 10 cm che hanno un rendimento pari a parabole tradizionali da 75 cm di diametro. Vanno ovviamente orientate nella giusta direzione, ma l'impatto estetico è ridottissimo, neppure si capisce che siano antenne".

Le antenne piatte Selfsat sono disponibili sia in versione con illuminatore tradizionale (uscita a 4 cavi) che in versione dCSS già integrata, con quindi un solo cavo in uscita da distribuire in tutta la casa. Questa soluzione, non ancora così conosciuta, risolve il problema estetico e anche quello funzionale della gestione della distribuzione del segnale in casa.

In questa foto un'installazione satellitare in un trullo ad Alberobello, tenuta a bassissimo impatto estetico grazie all'utilizzo di una parabola piatta (realizzazione a cura di Luca De Tommaso per Calabrese Elettronica SRL - BARI)

E se non voglio spendere in CAM e decoder? 

Nel caso in cui i TV da servire siano diversi, come accade per esempio in hotel, pensionati e comunità, la logica è sempre la stessa? "No - ci spiega Ruggiero Digiorgio di Auriga -, in quel caso i costi di CAM e decoder rischiano di salire troppo, dato che ne serve uno per schermo da servire. A quel punto conviene agire a livello di centrale e distribuire i canali tivusat ricreando dei bouquet digitale terrestre con sistemi in grado di convertire i segnali : in questo modo, non cambia l'impianto di distribuzione del segnale di antenna e i TV, anche quelli non sat e non DVB-T2, sono in grado di sintonizzare correttamente il segnale senza bisogno di null'altro. Questo sistema è anche molto utile a livello condominiale per coprire i “buchi” del segnale digitale terrestre in alcune zone".

Un esempio di un sistema di ricezione tivusat da centrale

Ma questo tema, relativo agli interventi tivusat su centrali condominiali o multiutenza, è un argomento che affronteremo a breve in un altro articolo, nella seconda parte del nostro incontro con Auriga e Digiorgio, a cui vi rimandiamo.

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