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Friday, June 11, 2021

Perchè l’inflazione Usa (+5%) è un rischio per la Borsa. Il rebus del lavoro - Corriere della Sera

Il rialzo dell’inflazione americana, che a maggio ha superato le attese volando al 5% , per ora sembra non preoccupare troppo gli investitori, come segnala la chiusura positiva di Wall Street , con un nuovo record giovedì per l’indice S&P a 4.239,31 punti (+0,5%), mentre il Dow Jones ha guadagnato lo 0,05% a 34.466,89 punti e il Nasdaq lo 0,78% a a 14.020,33 punti.

Gli investitori scommettono dunque che la Federal Reserve, la settimana prossima, alla riunione di mercoledì 16 giugno, manterrà la sua politica monetaria accomodante, nonostante il surriscaldamento dei prezzi al consumo

I mercati credono che la Federal Reserve, guidata dall’avvocato Jerome Powell, manterrà la promessa di una politica monetaria ultra accomodante a lungo finché la ripresa non sia consolidata. E quindi alla prossima riunione del Comitato di politica monetaria del 16 giugno non cambierà nulla. Secondo la banca centrale americana non solo il rincaro dei prezzi è temporaneo, ma la piena occupazione ha la priorità dei prezzi nel breve periodo, ha indicato chiaramente la Fed. Aggiornando la sua strategia di politica monetaria, l’inflazione Usa potrà aumentare «temporaneamente sopra il 2%», perché d’ora in poi il target sarà frutto di «una media nel tempo» ha annunciato Powell alla fine dello scorso agosto. E poi, nel corso di questi ultimi mesi, ha ripetuto che i risultati contano più delle previsioni. Ma proprio qui potrebbero nascere i problemi.

Aspettare i risultati, cioè che l’aumento dei prezzi sia consolidato per un certo periodo, nasconde il rischio che quando la Fed interverrà, cominciando ad alzare i tassi di interesse e interrompendo l’acquisto di titoli sul mercato, sarà già troppo tardi per invertire la tendenza tempestivamente. E questo farebbe perdere credibilità alla Banca centrale il cui mandato resta comunque la stabilità dei prezzi, oltre alla piena occupazione. Ma la credibilità per un istituto centrale è tutto.

Quasi un anno dopo dall’annuncio di Powell sul cambiamento di strategia monetaria, l’inflazione Usa è salita ben oltre il target Fed del 2%: dopo il +4,2% di aprile, a maggio l’indice è salito al 5%, con un rialzo congiunturale dello 0,6% rispetto ad aprile, che a sua volta era aumentano dello 0,8% su marzo, portando l’indice dei prezzi ai massimi dall’agosto 2008, quando raggiunse il 5,4%. E non è più soltanto l’energia ad alimentare la fiammata dei prezzi (invariata a maggio), ma anche beni e servizi come le auto usate e i camion (+7,3%) o i biglietti aerei. L’aumento repentino dei prezzi è un riflesso della robusta ripresa in atto a livello globale, e in particolare in America, e della conseguente maggiore domanda di materie prime e componenti essenziali, come i semiconduttori. Tanto che i rincari e la caranza di alcuni materiali e componenti cominciano addirittura a preoccupare alcuni settori industriali, dal’auto all’elettronica di consumo fino agli elettrodomestici.

Poi c’è il tema del lavoro. L’indice di disoccupazione negli Stati Uniti è sceso al 5,8% e l’occupazione continua a migliorare, come segnalano gli ultimi dati sulle richieste di sussidi di disoccupazione. Al 5 giugno le domande sono state 376 mila, secondo quanto riportato dal dipartimento del Lavoro. Si tratta del miglior dato dal 14 marzo 2020, all’inizio della pandemia, meno però delle attese per un dato a 370 mila. E ciò rafforza la convinzione che la Fed aspetterà ancora a lungo prima di cominciare a discutere di tapering, per ridurre gli stimoli all’economia. Il punto è che la pandemia ha accelerato anche negli Usa la digitalizzazione dell’economia e molti cambiamenti sul mercato del lavoro sono strutturali, perciò alcuni posti di lavoro non torneranno mai più. Aspettare la piena occupazione potrebbe essere un esercizio pericoloso. Piuttosto diventa urgente — e questo vale anche in Europa - impiegare parte delle ingenti risorse per il rilancio dell’economia per politiche mirate alla riqualificazione della manodopera.

Se l’economia continuerà a correre e l’inflazione a salire fino alla fine dell’anno (anche la Banca centrale europea ha rivisto al rialzo all’1,9% le sue proiezioni per la zona euro a fine 2021, pur lasciando invariate le decisioni di politica monetaria), non provocherà soltanto un brusco risveglio agli investitori, con una improvvisa caduta del valore dei loro asset, ma anche alle economie emergenti legate al dollaro, già messe in ginocchio dalla crisi pandemica.

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